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    Al Memoriale della Shoah di Milano la mostra su ‘Le navi della speranza’

    Un viaggio fotografico che racconta la migrazione ebraica: migliaia di sopravvissuti partirono dai porti italiani verso la Terra Promessa

    Rimarrà aperta fino a tutto giugno presso il Memoriale della Shoah di Milano, la mostra fotografica “Le navi della speranza. Aliya Bet dall’Italia: 1945-1948”. Una serie di bellissime foto che ripercorrono la migrazione degli ebrei sopravvissuti alla Shoah verso la Palestina, allora protettorato britannico, avvenuta nel triennio tra la fine della Seconda guerra mondiale e la nascita dello stato di Israele. In particolare, la rassegna pone l’accento sul ruolo dell’Italia per gli oltre 250.000 ebrei in fuga dall’Europa orientale: Paese di rifugio e ‘Porta di Sion’ verso la Terra Promessa. Dai porti italiani partirono per la Palestina ben 34 navi (più di metà delle 65 partite complessivamente dall’Europa) sotto la regia dell’Aliya Bet, l’agenzia per l’immigrazione clandestina che aiutava gli scampati ebrei in tutta Europa. Carrette del mare: pescherecci riattrezzati per trasportare persone ma che dovevano fingere di fare il loro lavoro, barche adatte a navigazioni molto più brevi. Navi cui era stato cambiato il nome, i cui documenti di bordo non esistevano, che spesso furono affrontate con durezza dalle unità britanniche, che non esitavano a rispedire indietro i profughi a costo di speronare le imbarcazioni, abbordarle, usare la violenza.

    Tra gli episodi narrati dal percorso espositivo la vicenda di La Spezia: per sei settimane tra aprile e maggio 1946, un migliaio di profughi rimase bloccato nel porto della città; iniziò così uno sciopero della fame per ottenere dal governo inglese le autorizzazioni necessarie per l’approdo in Palestina.

    Come recita il testo di Elena Loewenthal in chiusura del catalogo della mostra “C’è tanta vita, in questa storia che lega l’Italia e Israele. Due sponde dello stesso mare, tanti destini che la storia ha fatto incontrare e unito in un modo tutto speciale. […] Quella della Aliyah bet, dell’assistenza ai sopravvissuti dai campi di sterminio, della collaborazione all’immigrazioni clandestina, del calore che i profughi – adulti e bambini – hanno ricevuto in Italia fra il 1945 e il 1948, è una storia straordinaria. Fatta di tante cose diverse, tutte davvero stupefacenti: coraggio e solidarietà, giustizia e intraprendenza. […] È una storia indimenticabile che, proprio come l’Italia “porta di Sion” si apre davanti agli occhi e al cuore di chi la guarda.”

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