Mentre la guerra russa avanza in Ucraina, molti Paesi si mobilitano per soccorrere i civili. Aiuti e soccorsi sul campo, corridoi umanitari, una macchina della solidarietà inarrestabile che ora dopo ora cerca di mettere in salvo più persone possibile. Come tutti i cittadini ucraini, anche le comunità ebraiche locali vivono in uno stato di pericolo costante. In Italia l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane si è attivata, coordinando e promuovendo numerose iniziative di solidarietà rivolte a chi di questa guerra sta pagando il prezzo più alto: raccolte fondi, aiuti e la predisposizione all’accoglienza dei rifugiati di raccordo con le singole comunità e organizzazioni ebraiche del nostro Paese. «Il dolore più straziante è per ogni immagine di devastazione e morte, che ha travolto anche i bambini. L’unica speranza di trovare le forze di reagire arriva in questi giorni della intensa mobilitazione di singoli e organizzazioni per elargire sostegno e solidarietà, di chi vuole invece affermare valori di pace, di vita, muovendosi con i propri mezzi anche più modesti» dice la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni. Shalom l’ha intervistata.
Presidente, quale è la situazione attuale delle comunità ebraiche in Ucraina?
In Ucraina vivono circa 200mila ebrei e 6mila israeliani, che hanno scelto di vivere lì. A loro sono collegati 3mila familiari. Sono presenti molte comunità sparse e di tutti i tipi, dagli ultraortodossi e laici. Un panorama variegato di comunità ebraiche che fino all’inizio della guerra, come tutti gli ucraini, vivevano in una situazione di libertà e di organizzazione della loro vita privata e religiosa. Già prima dell’invasione ci sono stati molti appelli per uscire dal Paese. Se all’inizio era uno sforzo di convincimento per spostarsi dall’Ucraina, adesso tutto il lavoro viene fatto sulle frontiere. Tutte le organizzazioni ebraiche a livello europeo ed internazionale, anche quelle giovanili, si sono organizzate per essere presenti nei punti di confine dei Paesi, come Ungheria, Romania, Polonia e Moldavia, attrezzando l’accoglienza. Parallelamente, Israele ha creato postazioni al confine con i propri punti consolari, oltre che supporto umanitario e medico. È l’incertezza che determina le scelte più difficile: rimanere, spostarsi verso altri centri appositamente allestiti o fuggire dentro l’Ucraina, sostare nei Paesi limitrofi o invece andare più lontano verso Israele o altri Paesi europei.
In questi giorni, e anche in queste ore, la macchina della solidarietà dell’ebraismo italiano è attiva su vari fronti. Può spiegarci in che modo si sta attivando l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane a supporto dei cittadini e rifugiati ucraini?
L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, assieme alle singole comunità e a diversi enti ebraici, si è attivata per essere di supporto per l’accoglienza di famiglie che hanno preferenza di venire dall’Ucraina in Italia, o hanno dei parenti o dei collegamenti nel nostro Paese. L’attività in corso adesso è di individuazione di alloggi e la raccolta fondi, ognuno di noi può dare il proprio contributo per quello che può alle diverse organizzazioni.
Come si articolano i vostri contatti con le comunità in Ucraina e con le organizzazioni internazionali che coordinano gli aiuti?
Sul territorio siamo in contatto principalmente con i rabbini, con i presidenti delle comunità ebraiche, e con la federazione delle comunità ebraiche in Ucraina. Poi siamo in costante contatto con le associazioni europee e internazionali di assistenza ebraica, che si sono tutte organizzate per essere presenti con i propri inviati. Nello European Jewish Congress abbiamo un’unità specifica che si occupa dei temi di sicurezza ed emergenza: loro hanno attrezzato più di cento mila alloggi per accogliere i rifugiati, non solo ebrei. Le organizzazioni ebraiche sono predisposte per presidiare i punti di accoglienza per tutti. Chiunque ha bisogno, viene accolto e assistito con generi alimentari, medicine, supporto psicologico. L’aiuto è verso tutti con le competenze che abbiamo. La stessa cosa vale per Israele che in questi giorni sta accogliendo migliaia di profughi.
Putin parla di “denazificazione” dell’Ucraina. Zelensky lancia appelli agli ebrei del mondo. Che cosa sta succedendo dal suo punto di vista?
Ci colpisce inevitabilmente questo mantra di Putin di liberare il paese da un presunto governo filo/neo neonazista che ci sarebbe, secondo lui, in Ucraina. È un punto di vista ideologico, la guerra si conduce anche sulle parole e sulle terminologie che vengono usate, non è solo un conflitto per le risorse energetiche. In tutto questo ci colpiscono anche gli appelli frequenti di Zelensky al mondo ebraico e a Israele per aiuti al Paese, che fanno riflettere.
In tutto questo anche la posizione di Israele genera costante attenzione, tra un potenziale ruolo di mediatore e la ricerca attenta di un equilibrio politico delicatissimo tra condanna e le diverse forme di sostegno all’Ucraina, all’ombra degli accordi con Iran sempre più vicini alla conclusione.
Che cosa la colpisce di più di questa guerra?
Il nulla di comprensibile che ne è alla base e l’assoluta personalizzazione introno ad un solo uomo che l’ha voluta.