Una cassetta di legno, rimasta chiusa per anni, a Roma, nella casa di Emma Di Porto. Dentro una manciata di lettere, conservate in cartelline di plastica. Un messaggio di David Ben Gurion. Un opuscolo del cimitero militare del Monte Herzl di Gerusalemme, e la fotografia di un giovane soldato. Un mosaico che insieme all’inchiostro sbiadito ha visto via via saltare alcuni tasselli, di una storia fatta di sopravvivenza, di eroismo ed anche di un misterioso amore. Quella di Sergio Pavoncello, ebreo romano caduto a Latrun, sulla via di Gerusalemme, durante la Guerra d’Indipendenza dello Stato d’Israele nel ’48, è storia tutta da ricomporre; questa ci racconta l’eroismo, il coraggio, di quegli ebrei romani, e italiani, che dopo la Shoah combatterono e morirono per l’esistenza dello Stato Ebraico.
Un figlio della Shoah
«La storia di zio Sergio inizia a Roma, nel quartiere di Primavalle – ci racconta Emma-. Oltre a lui nonna Emma e nonno Leone avevano sei figli, tra cui mia madre, Rosa, che era la più grande. A febbraio del ’44 arrivarono i nazisti per deportare la mia famiglia, scampata alla retata del 16 ottobre, nei campi di sterminio. Arrivarono sotto casa, mia nonna disse ai bambini di nascondersi sotto il letto, mentre nonno e Sergio erano fuori per cercare qualcosa da mangiare». Emma scende di casa, portando con sé la piccola Renata, di soli 10 mesi. Vengono caricate a forza sui camion, e non torneranno più. Quando Sergio e Leone arrivano a casa, trovano soltanto i bambini. Cercano disperatamente, senza successo, di contattare qualcuno che possa aiutarli a ritrovare Emma e la figlia. «Quell’assenza peserà sulla coscienza di Sergio come un macigno per tutta la vita- continua Emma-. Il complesso di colpa di non essere stato lì a proteggere la madre e la sorella lo assillerà per sempre». Il viaggio di Emma verso i campi di sterminio è lungo, e passa per alcune città d’Italia. Per giorni manderà cartoline ai famigliari, in cui chiede ogni volta di abbracciare Sergio. Assicura alla famiglia che lei e la bimba stanno bene, ma le lettere passano per la censura fascista, e i famigliari sono certi che la situazione sia disperata. Le tracce della donna si perdono, e solo dopo la guerra i famigliari conosceranno il loro tragico destino. Emma e Renata sono state uccise all’arrivo nei campi di sterminio.
Ben Zion e la rinascita in Eretz Israel
E’ il 1948 e Sergio ha vent’anni, vede intorno a sé una lenta rinascita dalle macerie della guerra, ma capisce che il suo percorso lo porta altrove, in Palestina, per contribuire alla nascita dello Stato d’Israele. E’ un sionista convinto, così parte, a giugno, subito dopo la Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato d’Israele, quando gli eserciti dei paesi arabi attaccano immediatamente lo Stato Ebraico. Sergio, arrivato a destinazione, si arruola subito nell’Haganà, e scrive alla sorella Rosa: «Sono partito per farmi una nuova vita. E se qualcuno ti dice che sono matto, tu rispondi che non sono una carogna o un vigliacco, ma faccio soltanto il mio dovere di ebreo. Qui mi chiamano Ben Zion (figlio di Sion)». Era il taglio con il passato di dolore, per Sergio, e l’inizio della rinascita. «Qui mi rifarò una nuova vita. Non ci sono pregiudizi, né distinzioni tra una persona e l’altra» scriveva. Sergio visita Tel Aviv e la definisce “città moderna”. «Papà, se vedessi come è fatta la Palestina! E’ un gioiello ricamato- scrive-. Tutto è bello, cose, strade, case e città, è la Terra d’Israele, “Eretz Israel”, diventerà il Paese più bello del mondo. E voi? Dovete far studiare l’ebraico ai vostri figli, perché anche loro un giorno dovranno venire a vivere quì».
Il sacrificio di un combattente
Durante l’esperienza nell’Haganà, Sergio conosce una ragazza, anche lei soldato. Se ne innamora. «Ho conosciuto una ragazza bella e coraggiosa e ci siamo fidanzati. Lei parla perfettamente italiano». Lui scrive anche il nome della giovane soldatessa, con una matita, ma oggi sembra indecifrabile. Successivamente in una dolorosa corrispondenza Sergio comunica alla famiglia che la ragazza «ha fatto la fine che può fare un soldato. E’ il destino». Lei viene uccisa durante un combattimento. Poche settimane prima di morire, Sergio promette alla sua famiglia che dopo la guerra tornerà a Roma per una visita. «Adesso lascio la scrittura- scrive -, perché dobbiamo cambiare campo e andare fuori Gerusalemme, vi scriverò quando avrò tempo». Il 17 ottobre Sergio viene ucciso in un’imboscata degli arabi, sulla strada di Gerusalemme. Muore da eroe della patria e a comunicarlo alla famiglia è un telegramma del capo del governo israeliano David Ben Gurion: «Il governo d’Israele, l’esercito, ed il popolo ebraico, porteranno nel cuore l’eterno ricordo di Ben Zion Pavoncello, che cadde per la difesa della Terra dei Padri e nella battaglia per la libertà e per l’Indipendenza». Oggi Sergio Ben Zion è sepolto nel cimitero militare del Monte Herzl di Gerusalemme.
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