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    Yom HaShoah alla Knesset: un’atmosfera famigliare

    Insieme ad un gruppo di ebrei italiani, ormai italo-israeliani, ho presenziato oggi alla cerimonia ufficiale di Yom HaShoah alla Knesset, il parlamento israeliano. L’invito è arrivato proprio dal governo israeliano, che ha espresso il desiderio di avere in sala anche una rappresentanza europea. La Hevrà, ovvero l’Associazione degli Ebrei italiani in Israele, ha risposto all’appello senza esitare.

    Un gruppo eterogeneo composto da Olyim più o meno hadashim, si è dunque incontrato nella piazza fiorita che precede l’entrata in Parlamento. “Volevamo che partecipassero alla ricorrenza tutti i volti dell’ebraismo italiano in Israele, provenienti da ogni angolo del paese e di ogni età”, mi ha spiegato Michael Raccah, il Presidente della Hevrà la cui madre è sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz. Poi ha aggiunto: “Vorrei che il ricordo della Shoah non fosse esclusivo, ma che appartenesse a tutti”. Qualche istante dopo l’ingresso, la cerimonia ha avuto inizio. Nonostante le tensioni tra i vari partiti politici siano arrivati al culmine nell’ultima settimana, l’atmosfera nella Knesset si è rivelata più solidale di quanto ci si potesse aspettare. Ministri e parlamentari di ogni colore politico hanno deposto le armi per 24 ore, mischiandosi alla folla e sedendosi uno accanto all’altro. Per tutta la durata della cerimonia, tra un’esibizione canora e l’accensione di una candela, i vertici del governo di sono rivolti al pubblico condividendo le proprie storie personali, susseguendosi sul palco. Il premier in carica Naftali Bennett ha condiviso la storia straziante ed eroica del suocero, così ha fatto anche il Capo dell’opposizione Benjamin Netanyahu, rivelando un punto in comune al suo acerrimo rivale politico.

    Le loro storie si sono così unite a decine di altre testimonianze provenienti da ogni angolo della sala, nonché da ogni angolo dell’Europa, tutte diverse tra loro, ma tutte drammaticamente simili. Ministri e parlamentari hanno infatti condiviso i propri racconti famigliari, svelando un mosaico complesso e affascinante di quello che è l’ebraismo che ha preceduto la fondazione dello Stato d’Israele: comunità ormai inesistenti, ma floride e gloriose prima della Seconda Guerra Mondiale. Non solo quella polacca nota a molti, vittima dell’odio nazista e dell’indifferenza collettiva, ma anche quella turca, libica, tunisina. Comunità prima invase e poi cancellate, che per decenni sono state dimenticate, o non associate al nefasto nazista, e che oggi sono riaffiorate nei ricordi dei figli di chi le ha vissute in prima persona.

    Ed ecco la chiave di questa cerimonia tanto sentita, di questo Yom HaShoah tanto diverso dai precedenti. Nonostante fossimo nel luogo più istituzionale del paese, l’atmosfera era estremamente famigliare. Nonostante i vari relatori fossero abituati a scrivere i propri discorsi e a leggerli poi di fronte al pubblico, questa volta non si è visto nemmeno un foglio in sala. Frutto forse della rivoluzione ancora in atto del fenomeno di Zikaron BaSalon, nel quale gli israeliani di tutto il paese aprono le porte di casa loro agli sconosciuti per condividere il proprio ricordo personale dell’Olocausto, ogni relatore ha condiviso la storia della propria famiglia come se fosse seduto nel proprio salotto di casa, circondato dai propri amici. Così hanno fatto Itzhack Herzog, Naftali Bennett, Benjamin Netanyahu, Esther Hayut e Dani Dayan. Così hanno fatto Elazar Stern, Merav Ben Ari, Miki Levi e Galit Distel. Così dovremmo fare anche noi, figli e nipoti della Shoah, poiché, come spiegato da Raccah, la Memoria appartiene a tutti.

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