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    Una nuova campagna politica e mediatica contro Israele

    I funzionari dell’Onu contro Israele

    Si è scatenata di nuovo una campagna politica e mediatica contro Israele, che cerca di presentare come “omicidi” l’autodifesa dei militari israeliani nei confronti dei terroristi. Alcuni esempi: il “coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il Processo di Pace in Medio Oriente”, Tor Wennesland, scrive su Twitter “sono orripilato dall’uccisione di un palestinese durante una zuffa con un soldato israeliano vicino a Huwarra nel West Bank . Le mie più sentite condoglianze alla sua famiglia in lutto. Tali incidenti devono essere indagati in modo completo e tempestivo e i responsabili devono essere processati”. Il “Commissario straordinario dell’Onu per i Territori palestinesi”, l’avvocato italiano Francesca Albenza, in un convegno a Gaza organizzato dal ‘Council on International Relations’, organismo direttamente affiliato ad Hamas nella Striscia di Gaza, dà la sua benedizione in arabo ad Hamas: “Avete il diritto di opporvi a questa occupazione”. Del resto è la stessa che nei mesi scorsi aveva dichiarato che “Israele dice che la resistenza è terrorismo, ma l’occupazione richiede violenza e la produce […] i palestinesi non hanno altra scelta per la resistenza se non la violenza” e che “la violenza palestinese è inevitabile, perché il diritto all’esistenza del popolo palestinese è stato negato per 55 anni”.  

     

    Le voci degli stati e dei social

    Anche le dichiarazioni degli Stati si moltiplicano: “La Francia esprime la sua profonda preoccupazione dopo i molteplici scontri avvenuti dal 29 novembre in diverse parti della Cisgiordania, che hanno provocato la morte di cinque palestinesi – dice un comunicato del Ministero degli esteri francese, che prosegue: “La crescente violenza contro i palestinesi in Cisgiordania deve finire e i responsabili devono essere ritenuti responsabili dalle autorità competenti”. L’amministrazione Biden ha espresso “preoccupazione” e invitato “entrambe le parti” a moderarsi. I social media, in Italia come in tutto il mondo occidentale, sono invasi dalle immagini della “zuffa”, che in realtà è stata un attentato terrorista con il coltello, che ha ferito due poliziotti, e con il tentativo di rapinare l’arma ad uno di essi, concluso dagli spari per autodifesa di questi, che hanno eliminato il terrorista.

     

    L’ondata terroristica

    Il punto di partenza di questa situazione è un aumento molto consistente del terrorismo in Israele, in particolare, ma non solo, in Giudea e Samaria. Per ricordare solo alcuni degli ultimi episodi principali, nelle scorse due settimane vi è stato l’assalto di un terrorista alla zona industriale di Ariel che ha ucciso tre persone e ne ha ferite diverse prima di essere eliminato; vi sono state le bombe alla stazione degli autobus di Gerusalemme, con un morto e una decina di feriti, l’uccisione di un ferito grava in ospedale e il rapimento del suo corpo, per la sola colpa di essere cittadino israeliano. Inoltre, vi sono stati diversi tentativi di investimento automobilistico, l’uccisione di una giovane poliziotta a un posto di blocco, attacchi con bombe molotov e sassi. Ma in realtà la serie di questi attentati prosegue ininterrotta almeno dagli omicidi multipli di Tel Aviv e Beer Sheva in aprile. Il livello di violenza terroristica si è moltiplicato di diverse volte rispetto agli anni scorsi e ha raggiunto un livello che non si vedeva da circa dieci anni. 

     

    Perché questi attentati?

    Le ragioni dell’ondata sono diverse, ma vale la pena di citare almeno due diversi ordini di cause. Il primo è costante: i gruppi palestinisti, inclusa l’Autorità Palestinese e Al Fatah che la controlla, rifiutano da sempre il presupposto fondamentale di ogni accordo di pace, incluso quello di Oslo: il riconoscimento della legittimità dello Stato di Israele, che chiamano “occupazione” e il cui territorio rivendicano tutto come proprio. Proclamano apertamente che “la lotta armata” sia il solo modo per affermare questo loro diritto alla distruzione di Israele e di conseguenza esaltano, proteggono, finanziano il terrorismo. La causa ultima di tutti gli attentati sta in questa spinta ideologica che viene dai livelli più alti della politica palestinese. Ci sono però anche motivi più legati al momento. Ci sono gli “accordi di Abramo” che hanno legittimato Israele rispetto a buona parte del mondo arabo e marginalizzato la loro causa e che i terroristi vogliono minare; c’è la lotta per la successione a Mohamed Abbas, che tiene il potere ormai da una ventina d’anni essendo stato eletto per quattro, ma ormai ha 87 anni, una salute precaria e insomma non può durare a lungo. Per candidarsi alla sua successione un curriculum terrorista è fondamentale. Inoltre c’è l’opposizione preventiva al governo di centrodestra che si sta per formare in Israele. Si spera di provocare col sangue il suo isolamento internazionale e il fallimento interno.

     

    Che cosa sta succedendo davvero

    La situazione sul terreno è complicata. Molti terroristi colti in azione sono eliminati dalla reazione immediata degli israeliani. Ma da alcuni mesi vi è anche una operazione programmata (il suo nome è “Rompere l’onda”) per prevenire il terrorismo, senza colpire la popolazione araba generale con chiusure e occupazioni delle città amministrate dall’Autorità Palestinese. Le forze di sicurezza israeliane, con un forte appoggio dei servizi di informazione, entrano in queste città (soprattutto Jenin e Nablus) con azioni mirate per arrestare i mandanti e gli esecutori del terrorismo, in modo da impedire nuovi attentati. Spesso queste operazioni incontrano resistenza armata e si scatenano allora dei conflitti a fuoco, in cui prevale il maggiore addestramento dei militari israeliani e spesso porta a morti e feriti fra i terroristi che resistono all’arresto. Il bacino terrorista è vasto, dato l’incitamento continuo nella scuola, sui media vecchi e nuovi, e da parte dei responsabili politici palestinesi. L’azione delle forze di sicurezza israeliana riesce a disorganizzare le cellule terroriste, ma non può eliminarle completamente. Gli attacchi insomma non cessano anche se quasi tutti quelli di maggiore gravità sono prevenuti. 

     

    Che cosa ci aspetta

    È sicuro che l’ondata non si fermerà immediatamente, anche perché il suo scopo principale è politico e propagandistico e come si vede esso incontra appoggi importanti. È probabile anzi che l’offensiva si intensifichi, sia perché tutte le fazioni palestiniste cercano di accumulare “meriti” in vista della successione ad Abbas, sia per approfittare della diffidenza dichiarata della diplomazia americana ed europea per il nuovo governo. Per questo è importante far chiarezza: le forze di sicurezza israeliane non vanno alla caccia se non dei terroristi, non prendono affatto di mira i palestinesi pacifici. C’è un  modo molto semplice per non essere colpiti dall’autodifesa di Israele: non partecipare all’attività terroristica. Ed è quello che, per fortuna, la maggior parte dei palestinesi ha capito benissimo.

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