Che cosa sta facendo l’esercito israeliano
Ormai la tattica israeliana in questa prima fase della guerra è pienamente sviluppata: colpire le istallazioni di Hamas; eliminare possibili i punti di attacco; liquidare i terroristi noti (si parla ormai del 10% dei membri militari di Hamas colpiti) e soprattutto i loro dirigenti, appena emergono dai tunnel dove in questi giorni di solito restano nascosti; impedire ai terroristi ogni iniziativa; bloccare gli attacchi missilistici con Iron Dome; assediare la Striscia impedendo il passaggio di rifornimenti, ma soprattutto l’infiltrazione di attaccanti; difendere le retrovie, facendo particolare attenzione ai terroristi nascosti in Giudea e Samaria; erodere le loro riserve di uomini e materiali facendo lavorare il tempo e le incursioni aeree; non cadere nella trappola di un ingresso insufficientemente preparato fra le case e soprattutto nelle gallerie di Gaza. Questa è anche una guerra di nervi fra chi – i terroristi – ha previsto agguati e combattimenti ravvicinati dove la conoscenza del terreno è fondamentale e chi li colpisce a distanza. Ma non bisogna farsi illusione: prima o poi questa fase iniziale si concluderà e l’esercito israeliano dovrà entrare a Gaza, per svolgere il compito indispensabile di eliminare completamente l’apparato terrorista. Non si tratta, come ha detto qualcuno anche vicino a Israele, di “fare vendetta” o di evitarla, ma di rendere impossibile la ripetizione del massacro del 7 ottobre. Come quando si deve eliminare un nido di serpenti velenosi; o, per rifarsi alla storia, come quando durante la seconda guerra mondiale gli alleati non hanno accettato nessuna pace con i nazifascisti che non fosse la resa senza condizioni, anche se questo ha voluto dire per loro subire perdite gravi e infliggere danni ancora più gravi alla popolazione civile negli ultimi mesi di guerra.
Le tre fasi previste
Il ministro della difesa Gallant ha detto che vi saranno ancora tre fasi della guerra: il combattimento per impadronirsi di Gaza, che potrebbe durare per diversi mesi; poi l’eliminazione delle residue sacche terroriste, che richiederà per un certo periodo il controllo dell’esercito sulla Striscia; infine una separazione completa, che esclude ogni presenza israeliana da Gaza. Si tratterà di capire chi gestirà questa separazione, cioè chi avrà il controllo di Gaza: alcuni parlano dell’Autorità Palestinese, che però è debole, largamente favorevole al terrorismo, governata da un vecchio antisemita privo di credibilità tanto per i suoi sudditi che per Israele. Altri suggeriscono una gestione internazionale, magari col coinvolgimento dell’Onu e dell’Unione Europea; ma quale governo straniero sarà disposto a esporre i suoi militari e funzionari in una situazione in cui la dialettica delle posizioni è affidata da decenni al terrore? Il problema è importantissimo, ma si potrà affrontare a tempo debito. Per ora va citata un’altra possibile conseguenza di questa guerra di cui si è parecchio parlato: l’imposizione di una zona cuscinetto larga almeno un chilometro per evitare nuove sorprese.
Hezbollah e Iran
Tutto questo ragionamento è basato sulla possibilità che la guerra si limiti in sostanza al fronte di Gaza. In realtà i combattimenti si svolgono già anche al confine col Libano e con la Siria, ma con intensità relativamente bassa (Hezbollah ha dovuto lamentare finora solo una trentina di morti). Non è detto che questa guerra “leggera”, abbastanza facile da interrompere, prosegua in questi termini. Potrebbe rapidamente scalare fino a un grande conflitto, come molte vittime e perdite anche per Israele. L’Iran potrebbe decidere che non gli conviene lasciare che Israele smantelli il suo satellite Hamas senza reagire; ma deve anche calcolare il rischio che, in caso di intervento, Israele liquidi l’altro suo burattino Hezbollah e magari porti l’offensiva sullo stesso territorio persiano, quanto meno per eliminare il suo potenziale militare. Vi sono state voci in Israele, per esempio quella del ministro Nir Barkat, ex sindaco di Gerusalemme e possibile successore di Natenyahu, che hanno esplicitamente minacciato di colpire l’Iran in caso di ingresso in guerra di Hezbollah. Anche Israele deve calcolare se, dopo tutto quel che è successo, sarà mai possibile convivere con Hezbollah, che è allevato alla stessa scuola di Hamas e potrebbe tentare prima o poi una sanguinosa invasione analoga a quella del 7 ottobre; o se una guerra al nord è inevitabile e questo è il momento di prenderne atto, cercando di usare il vantaggio tattico dell’attacco.
Jenin
Da registrare un incidente significativo avvenuto oggi nella città di Jenin che con Huwarra è stato il principale teatro di gravi incidenti terroristici nei mesi precedenti all’invasione. Le cellule di Hamas naturalmente non restano inattive neppure in Giudea e Samaria, ma la sorveglianza dei servizio di informazione continua a prevenire gli sviluppi peggiori. In una galleria sotto un’importante moschea della città di Jenin è stata liquidata una banda terrorista pesantemente armata e pronta a compiere attentati gravi. Un’istallazione militare del genere era già stata scoperta sempre a Jenin qualche settimana fa, sempre sotto una moschea. È un fatto significativo, anche perché permette di capire l’intreccio fra edifici religiosi e nidi terroristi che Israele dovrà affrontare anche a Gaza.