Una guerra decisiva
Dal terribile shock del 7 ottobre sono passati ormai 100 giorni. Cento giorni di guerra, di angoscia, di morte, di distruzione. È importante non sbagliarsi: all’inizio non vi è stato solo un pogrom, una esplosione di odio e di ferocia da parte di belve umane. Il 7 ottobre è questo; ma soprattutto è stato una scelta politica, ben ponderata non solo a Gaza ma anche in Iran: innescare una guerra per la distruzione di Israele, come una tappa fondamentale della battaglia contro l’Occidente. I vari soggetti (Hamas, i vari gruppi terroristi fra cui quelli legati a Fatah; e poi Hezbollah, i gruppi sciiti iracheni, gli Houthi, anche il Qatar che si finge mediatore) sono reparti dello stesso esercito, che obbediscono alle scelte strategiche dell’Iran, testa dell’idra terrorista. Israele non lotta solo con psicopatici stupratori seriali, torturatori e assassini di massa, ma con un’armata imperialista apocalittica, che conta alleati in mezzo mondo, dal Sudafrica al Cile, dalla Russia alla Cina, dalla Corea del Nord a molti “progressisti” in Occidente e anche in Italia. È una guerra decisiva non solo per Israele, destinata a durare a lungo.
Che cos’è successo nei 100 giorni
Due o tre giorni sono serviti per dare la caccia alle centinaia di terroristi ancora nascosti nel territorio della strage. Altre due settimane sono state impiegate a mobilitare le forze di terra e a distruggere con i bombardamenti aerei i punti più cospicui delle forze terroriste. Il 26 ottobre è iniziata l’operazione di terra, che è proceduta più o meno lungo l’asse della Striscia, da nord a sud. Oggi Israele ne controlla interamente la parte settentrionale; al centro vi sono ancora combattimenti qua e là; il sud è diviso fra le tendopoli degli sfollati, zone di combattimenti e luoghi come Rafah, dove le truppe israeliane devono ancora entrare. L’avanzata è stata lenta (la superficie della Striscia è di 360 kmq, un terzo del comune di Roma); ma non si tratta di un territorio normale, bensì di una gigantesca fortezza. Sono state trovate finora oltre settecento rampe di lancio per i missili, un migliaio di sbocchi dei tunnel sotterranei usati per gli agguati. Gli ingegneri israeliani hanno calcolato che nelle gallerie conquistate sono state impiegate 6000 tonnellate di cemento e 1800 di metallo, per un costo di decine di milioni di euro. Oltre che sottoterra, sono stati trovate decine di migliaia di armi e munizioni pesanti nascosti in ospedali, scuole, moschee, case private, perfino negli incubatori dei reparti maternità e sotto i materassi dei lettini per i bambini. I morti fra gli abitanti di Gaza (in totale circa 2 milioni e mezzo) sono, secondo le fonti di Hamas, 23.843, la metà dei quali inquadrati nei reparti terroristi; sono 347 i terroristi eliminati in Giudea e Samaria, 159 i membri di Hezbollah uccisi nei combattimenti al confine col Libano, quasi duecento i caduti dell’esercito israeliano nell’operazione. In mano ai terroristi restano circa 140 rapiti, di cui non si sa quanti siano ancora vivi.
Le prospettive
L’esercito israeliano ha bisogno ancora di alcuni mesi per liquidare completamente la struttura terrorista di Gaza. Deve conquistare i tunnel, stanare i capi, eliminare ancora alcune migliaia di terroristi inquadrati, assicurarsi che siano chiuse le vie del contrabbando di uomini e armi. Deve soprattutto cercare di liberare i rapiti, che Hamas intende uccidere tutti se non li potrà usare come moneta di scambio. Alla fine della conquista si porrà il problema di come gestire Gaza; ma prima ancora vi sono due grandi problemi militari: la situazione al confine settentrionale, dove Hezbollah ha subito alcuni duri colpi, ma conserva il suo armamento, e quella in Giudea e Samaria, dove i vertici militari vedono un rischio di sommossa. A ciò si aggiungono la guerra legale, quella diplomatica, l’agitazione delle piazze, l’antisemitismo montante, i rapporti necessari ma non sempre facilissimi con gli Usa. Purtroppo 100 giorni sono una tappa, non certo una conclusione.