Un piano dettagliatamente preparato
Ancora dopo una settimana emergono prove del carattere premeditato della strage compiuta dai terroristi di Hamas e di altri gruppi terroristi all’alba di sabato 7 ottobre. Si sono ritrovate cartine dettagliate, istruzioni su come le diverse squadre dovessero muoversi, perfino una specie di dizionario di una decina di frasi in ebraico da usare contro le vittime come “vi uccidiamo tutti” o “siete nostri prigionieri”; sono usciti numerosi filmati delle esecuzioni pubblicati dagli stessi terroristi, si sono raccolte testimonianze di aggressori che parlavano in farsi (la lingua dell’Iran); vi sono interrogatori e interviste in cui gli aguzzini rivelano che il piano dell’eccidio era stato preparato e minuziosamente provato per due anni. Insomma non si tratta affatto di un atto terrorista improvvisato, ma di un progetto preciso e lungamente studiato. Il che fa pensare che anche le mosse successive siano state previste dalle centrali terroriste, ancor più che a Gaza a Teheran.
La situazione sul terreno
L’esercito israeliano è ben consapevole di questo problema e prepara attentamente l’ingresso terrestre a Gaza, attendendo che l’azione dell’aviazione elimini almeno parte delle trappole predisposte dai terroristi. Per questa ragione anche ieri è stata una giornata di attesa per i soldati schierati intorno a Gaza e per tutti gli israeliani. Non ci sono stati, fino al momento in cui questo articolo è stato scritto, scontri terrestri di grandi dimensioni. La cronaca registra numerosi nuovi lanci di missili da Gaza su varie zone di Israele, eliminazione di terroristi infiltrati, pesanti bombardamenti dell’aviazione su tutti gli obiettivi militari dovunque era possibile farlo senza colpire la popolazione civile, che Hamas obbliga a fare gli scudi umani, anche chiudendo fisicamente le strade di fuga garantite da Israele e sequestrando chiavi delle automobili e documenti. Proprio per permettere ai civili di allontanarsi senza troppi disagi, le autorità militari israeliane hanno deciso di riaprire le condutture che portano rifornimento idrico a Gaza, anche se in realtà la Striscia al 90% usa acqua che proviene da pozzi locali. I responsabili confermano che l’azione di terra è imminente, ma nessuno può dire ancora quando il Gabinetto di Guerra le darà il via.
Cresce la tensione al nord
Nel frattempo Hezbollah ha continuato con provocazioni limitate ma sanguinose: piccoli tentativi di sconfinamento, lanci di missili e di droni, bombardamenti che hanno provocato anche alcune vittime. L’esercito israeliano ha reagito puntualmente distruggendo istallazioni terroriste e anche dell’esercito libanese, che è controllato in sostanza da Hezbollah e neutralizzando alcuni terroristi. Progressivamente la tensione cresce, anche perché appare probabile che lo scopo di Hezbollah sia di mettere alla prova, saturare e danneggiare i sistemi di avvistamento israeliani, sulla linea di quel che è successo intorno a Gaza, per poi tentare un attacco massiccio. La differenza è che Hezbollah ha un numero di missili forse dieci volte più grande di quello di Hamas, parecchi dei quali hanno sistemi di guida avanzati; inoltre le milizie libanesi sono assai più forti e meglio addestrate di quelle di Gaza. Dunque un attacco terroristico dal Libano potrebbe essere ancora più grave dell’aggressione da Gaza. Anche se questa volta non prenderebbe di sorpresa Israele, avrebbe la massa bruta per saturare le difese antimissile e provocare notevoli danni. Vi sono peraltro notevoli riserve di uomini e mezzi pronti per contrastarla. Anche l’aviazione israeliana ha dichiarato di poter tenere i due fronti. Israele ha ammonito molte volte il governo libanese che nel caso di un’aggressione di Hezbollah il contrattacco devastante di Israele non potrebbe limitarsi alle singole postazioni terroriste, perché esse sono mimetizzate in mezzo alla popolazione civile e investirebbe tutto il Libano, che ne porterebbe comunque la responsabilità politica e giuridica. Ma Hezbollah è assai più forte delle forze armate del Libano e fa quel che vuole, o meglio quel che gli ordina l’Iran.
Internazionalizzazione del conflitto
Il fatto più preoccupante, nelle scaramucce al confine col Libano, è il rischio di internazionalizzazione del conflitto. Non solo Hezbollah ha dichiarato che se Israele continua a combattere contro Hamas, il suo intervento è inevitabile. La stessa minaccia l’ha fatta l’Iran, che è il burattinaio di entrambi i movimenti terroristi. L’intervento dell’Iran che ha qualche forza militare in Siria, vicino al confine israeliano, ma le cui frontiere stanno a oltre 1000 chilometri dallo stato ebraico, avverrebbe probabilmente con l’uso di droni e missili, gli stessi che la Russia usa contro l’Ucraina. Israele dovrebbe rispondere colpendo il territorio metropolitano dell’Iran e nessuno può dire dove arriverebbe il conflitto, dato che l’Iran è appoggiato da Russia e Cina ed inoltre ha “quasi” un armamento atomico.
L’intervento americano
Proprio per il timore di questa gravissima escalation, il presidente Biden ha fatto arrivare qualche giorno fa al largo delle coste israeliane un potente gruppo navale guidato da una portaerei. Ora è annunciato l’arrivo di un secondo gruppo con un’altra portaerei: una concentrazione di forze del tutto eccezionale che mostra la preoccupazione americana. Israele è in grado di difendersi da solo, ma le forze Usa dovrebbero fungere da deterrente nei confronti della possibile aggressione di una potenza imperialista molto abile tatticamente, ma altrettanto irresponsabile e fanatica, com’è l’Iran. Nel frattempo il ministro degli esteri dell’Iran ha fatto un giro di coordinamento incontrando i capi di Hamas (in Qatar) di Hezbollah, della Siria, del Qatar: insomma di tutti i nemici giurati di Israele. Anche Blinken, Segretario di Stato Usa, conduce un fitto giro di incontri nella regione, incontrando oltre a Israele, Egitto, Giordania, Arabia, Emirati. Insomma, l’allarme è grande. E anche questo rallenta l’operazione di terra su Gaza, che pure è necessaria e urgente. È probabile che Biden cerchi di costringere Israele a rinunciare.