Il bombardamento
Nella giornata di sabato una potente squadra dell’aviazione israeliana composta di 18 bombardieri F35 e F15 ha attaccato il porto strategico di Hodeida affacciato sul Mar Rosso nello Yemen occidentale. È il principale porto militare degli Houti, i ribelli yemeniti appoggiati dall’Iran, il centro logistico in cui essi ricevono le armi dall’Iran ed è anche la sede della principale raffineria del paese. Il bombardamento è stata la risposta all’attacco di un drone lanciato dagli Houti nella notte fra giovedì e venerdì, che ha colpito il centro di Tel Aviv a pochi passi dall’ex ambasciata americana – un luogo altamente simbolico. Il drone ha ucciso un cittadino israeliano, da poco immigrato dalla Bielorussia e ne ha feriti diversi altri.
Perché la risposta
Il colpo del drone non sorprende. Si tratta dell’attacco numero 220 proveniente dallo Yemen sul territorio israeliano in questi mesi di guerra. Israele non aveva mai risposto direttamente, in seguito a un accordo con gli Stati Uniti che guidano una coalizione internazionale che cerca di impedire ai pirati yemeniti di bloccare la navigazione internazionale sul braccio di mare che porta al canale di Suez, causando gravi danni all’economia di mezzo mondo. Tutti questi attacchi aerei dallo Yemen non avevano prodotto gravi danni. Ma questa volta gli Houti sono riusciti a raggiungere la capitale economica di Israele, anche perché il loro drone era stato sì rilevato dall’antiaerea ma non riconosciuto come ostile forse in quanto proveniente dal Mediterraneo, cioè da Ovest. C’è stata fra venerdì e sabato una discussione fra chi, soprattutto negli alti gradi militari, voleva una risposta quasi solo simbolica, come fu quella all’attacco missilistico iraniano il 14 aprile, e chi come Netanyahu riteneva necessaria una risposta concreta e dunque pesante. Alla fine è prevalsa l’opinione del primo ministro e l’attacco è stato duro ed efficace. Gli Houti hanno subito minacciato rappresaglie, ma non è detto che ne siano davvero in grado. Un missile sparato dallo Yemen contro Israele nella notte fra sabato e domenica è stato abbattuto da un antimissile israeliano “Arrow”.
Lontananza
La distanza fra Israele e lo Yemen è di oltre 1800 chilometri (come, per intenderci, fra Roma e Stoccolma). Gli aerei israeliani sono riusciti a percorrerla in andata e in ritorno portandosi le decine di tonnellate di bombe scaricate su Hudeida e tornando sani e salvi. Determinante è stato il rifornimento in volo non solo di aerei cisterna israeliani, ma anche di forze della Nato, fra cui almeno un velivolo italiano; il che significa che al di là delle posizioni politiche, la coalizione occidentale funziona ed è in grado di mettersi in opera velocemente. Bisogna anche tener conto che la distanza fra Israele e i luoghi strategici dell’Iran è inferiore a quella con lo Yemen. Oltre che una lezione per gli Houti, questa operazione è stata dunque anche un avvertimento implicito agli ayatollah: l’aeronautica israeliana è in grado di fare sul loro territorio non solo spedizioni dimostrative come quella di aprile, ma anche bombardamenti pesanti, contro cui le loro armi antiaeree sono impotenti, come si è visto in questi due casi. È un avvertimento importante non solo perché l’Iran è la centrale di comando da cui dipendono tanto gli Houti quanto Hamas, ma anche perché, come ha detto il Segretario di Stato Blinken in un comunicato di sabato cui pochi hanno prestato la giusta attenzione, all’Iran mancano solo due settimane per realizzare le componenti decisive del suo armamento atomico.
Il quadro strategico
Lo scambio di colpi con gli Houti, atteso da tempo dato che la coalizione internazionale si è mostrata incapace di bloccare l’aggressione dei ribelli yemeniti alla libertà di navigazione nel Mar Rosso, rende evidente uno dei fronti su cui deve combattere Israele. Contemporaneamente, fra giovedì e sabato, vi sono state importanti azioni contro Hamas a Rafah e Gaza City, scambi di colpi molto intensi con Hezbollah in Libano, diverse operazioni antiterrorismo nel territorio dell’Autorità Palestinese; vi è stato poi un tentativo di bombardamento su Haifa partito dall’Iraq ed è stata anche pubblicata la deliberazione del tribunale dell’Aia che ha dichiarato illegittima la presenza israeliana in Giudea e Samaria. Insomma, è sempre più chiaro che quella in corso non è una semplice operazione antiterroristica o una guerra con Hamas, che si potrebbe chiudere con un cessate il fuoco che liberasse i rapiti. Si tratta di una guerra su sei o sette fronti militari e altri politici e giuridici, la cui posta è l’esistenza stessa dello Stato di Israele. È una guerra diretta dall’Iran, di cui pochi in Occidente capiscono l’estensione e l’obiettivo. Israele ha i mezzi e la volontà per vincere. È importante che l’Europa e gli Usa non lo lascino solo, perché il pericolo è grande.