Seven10Stories è un progetto nato da una missione: non dimenticare gli eventi del 7 ottobre, contrastare la disinformazione e l’ondata di antisemitismo in crescita tra le giovani generazioni. Attraverso le testimonianze di chi ha vissuto in prima persona gli attacchi di quell’oscuro sabato, Seven10Stories si impegna a raccontare le storie dimenticate e a diffondere un messaggio di speranza.
Un’iniziativa nata da giovani studenti
L’idea è nata da quattro studenti dell’Università Reichman in Israele, che hanno deciso di trasformare la loro frustrazione per la situazione mediatica in un’azione concreta. “Abbiamo riconosciuto la necessità di contenuti non politici che creino un’identificazione con le persone di tutto il mondo, e da lì è nata l’idea di creare una piattaforma per testimonianze delle vittime del 7 ottobre”, racconta uno dei co-fondatori. Così, in sette mesi di attività e aiuto psicologico per gli intervistati, Seven10Stories ha raccolto oltre 130 interviste, coinvolto circa 35 studenti volontari e raggiunto 50mila follower su Instagram con una crescita media di 700 follower al giorno.
Un progetto in continua crescita
Seven10Stories non si limita a raccogliere testimonianze. Il progetto lavora attivamente per condividere la storia israeliana ed ebraica, aumentare la consapevolezza e dare a Israele una “voce” nello spazio digitale. Tra le tante testimonianze del 7 Ottobre , spiccano quelle di Michal e Naamà, sopravvissute all’attacco al festival “Nova”. La loro storia, raccontata con voce tremante e commozione, offre una prospettiva autentica e senza filtri sugli eventi accaduti.
Michal e Naamà: la loro storia
Michal Alali, 23 anni, e Naamà Eitan, 24 anni, sono due amiche che si erano finalmente concesse una serata di festa.”Eravamo così felici di andare, siamo arrivate verso le 3 del mattino e abbiamo passato le prime due ore a salutare conoscenti che avevamo incontrato per caso” racconta Michal, “Poi,all’improvviso, verso le 5 del mattino, è scoppiato l’inferno. Urla, spari, panico totale. Non sapevamo cosa fare, se scappare o ripararci sdraiate a terra.”
Dopo venti minuti di confusione, decidono di fuggire. Le due ragazze si avvicinano ad un poliziotto che appena le vede avvicinarsi gli urla: “Correte verso est!”. Michal e Naamà si precipitano via, tenendosi per mano, con gli spari alle spalle.
“Ci sentivamo circondate, senza via di scampo”, racconta Michal. “Ci siamo nascoste sotto un albero, ma non ci sentivamo al sicuro. Continuavano a spararci senza fine.”
Le due amiche ricominciano a correre ma dopo ore di terrore, stremate e disperate, si nascondono dietro un altro albero, dove Naamà si addormenta esausta. Michal, intanto, chiama ancora la polizia, che le rassicura sull’arrivo imminente dei soccorsi.
Ma l’attesa si trasforma in un’agonia. Passano le ore, il telefono sta per scaricarsi e Mical sente distintamente le voci dei terroristi fino ad intravederli tra gli alberi vicini. Poco dopo, sente le urla di un ragazzo e tre spari, poi dei passi allontanarsi di nuovo.
Finalmente, dopo sette interminabili ore, arriva la salvezza. Un’auto della polizia le trova e le porta in salvo. “Quando siamo salite in macchina, solo allora abbiamo capito che da quel momento in poi nulla sarebbe stato più come prima”, conclude Naamà con un filo di voce.
Le testimonianze di Michal e Naamà sono un vivido ritratto dell’orrore vissuto durante l’attacco del 7 ottobre. Un incubo che ha segnato per sempre la loro giovane vita.