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    ISRAELE

    Perché adesso non è possibile uno stato palestinese

    Una campagna contro Israele

    I giornali italiani (e quelli di mezzo mondo), negli ultimi giorni quando parlano di Israele sono pieni di articoli che sostengono come per risolvere finalmente il conflitto basterebbe istituire i “due stati” e che Israele, o personalmente il suo primo ministro Netanyahu sarebbero responsabili di “dire di no”. I personaggi citati a sostegno della soluzione dei due stati sono i più autorevoli, da Biden al segretario dell’ONU Guterres, peraltro non nuovo a dichiarazioni antisraeliane. Si tratta evidentemente di una campagna di stampa organizzata. Circolano molte notizie false o bizzarre, come quella secondo cui Biden avrebbe offerto a Netanyahu la smilitarizzazione del futuro Stato di Palestina. Peccato che tale smilitarizzazione era già uno dei cardini degli accordi di Oslo, firmati alla Casa Bianca da Peres e Arafat 13 Settembre 1993: all’art. VIII si consentiva all’Autorità Palestinese l’istituzione di una “forza di polizia” “al fine di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza interna dei palestinesi”, “mentre Israele manterrà la responsabilità per la difesa contro le minacce esterne, nonché la responsabilità per la sicurezza complessiva degli israeliani, allo scopo di garantire loro sicurezza interna e ordine pubblico.” Si è visto ben presto quanto sia stata efficace questa divisione di compiti. Una bizzarria ancora più grande sta nel piano saudita/egiziano, che propone l’affidamento di Gaza a un “governo palestinese di unità nazionale”, formato da Fatah e Hamas. In sostanza Israele avrebbe combattuto Hamas per ottenere di metterlo anche al governo dell’AP.

    Uno stato

    La ragione per cui Israele non può accettare uno stato palestinese è semplice. Secondo la definizione classica di Georg Jellinek (1851-1911) uno stato è costituito da tre elementi: un territorio, un popolo, un’autorità suprema in grado di governarli. In questo senso Gaza fino al 7 ottobre era uno stato, l’Autorità Palestinese no, perché il controllo del territorio era condiviso con l’esercito israeliano. Questa è la ragione per cui nonostante i molti tentativi, e un’indubbia buona volontà da parte loro, i terroristi non sono riusciti a far partire un 7 ottobre da Giudea e Samaria, mentre da Gaza sì. Quello con l’AP è un condominio tutt’altro che ideale, l’incitamento continuo e l’immunità, anzi l’esaltazione e la retribuzione assicurata ai terroristi hanno causato in 30 anni decine di migliaia di attentati e di molte centinaia di vittime. Ma con operazioni molto impegnative, come per esempio quella del 2002 e quella attuale, Israele è riuscito a impedire nei territori dell’AP concentrazioni di uomini e di armi come quelle di Gaza. Se ci fosse uno stato palestinese, ogni operazione antiterrorismo sarebbe un casus belli.

    Fidarsi dell’AP?

    Ma Biden, Gutierres e l’estrema sinistra israeliana dicono che lo stato palestinese si ha da fare: perché bisogna avere il coraggio di fidarsi dell’AP; perché i palestinesi hanno diritto a uno stato e perché questa è la condizione per ottenere accordi di pace con i paesi vicini come l’Arabia Saudita. Sono argomenti che non tengono. L’AP è un regime dittatoriale, governato senza parlamento da un presidente eletto nel 2005 per un mandato di 4 anni, estremamente corrotto, e che sostiene i terroristi. Non vi è stato nessuno nell’AP che abbia condannato la strage del 7 ottobre; molti invece l’hanno approvata e si sono proposti di riprodurla. Quanto al diritto allo stato, non a tutte le popolazioni esso è concesso: non ai curdi, non agli uiguri, neppure ai catalani e agli scozzesi nella democratica Europa. La statualità è poi condizionata dall’accettazione di confini condivisi e dal riconoscimento dei diritti degli stati vicini, che se no hanno tutte le regioni per impedirla. L’AP ha sempre rifiutato tutte le proposte di accordo sui confini e non ha mai voluto riconoscere Israele per quel che è, lo stato della nazione ebraica. Quanto agli accordi, è chiaro che di fronte all’aggressività dell’Iran, ha molte più possibilità di farlo un’Israele vincitrice che una sconfitta. E la fine della guerra a Gaza senza la distruzione completa di Hamas, nel Libano senza l’arretramento di Hezbollah, e in particolare il riconoscimento di uno stato palestinese vero e proprio, dove Israele non potesse reprimere il terrorismo, sarebbero il segno chiaro di una sconfitta.

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