La situazione in Israele non migliora. I terroristi continuano a sparare missili sulla popolazione civile; fino al momento in cui scrivo un migliaio sono entrati in Israele e circa duecento sono ricaduti a Gaza. I terroristi ne hanno alcune decine di migliaia, di cui diverse migliaia abbastanza potenti da arrivare a minacciare il centro del paese, l’aeroporto Ben Gurion, Tel Aviv e Gerusalemme. La tattica di lanciarli in gruppi compatti di molte decine in parte funziona, perché Iron Dome non riesce a fermarli tutti. Ci sono stati diversi impatti diretti su case, scuole, impianti industriali, automobili e autobus. I morti al momento sono cinque. Le forze armate israeliane reagiscono con un lavoro sistematico di distruzione di obiettivi militari di Gaza: tunnel di attacco, lanciarazzi, depositi e fabbriche d’armi, singoli miliziani: qualche volta sono riuscite a neutralizzare capi terroristi importanti. Ma le sue tattiche militari sono limitate dall’attenzione a non danneggiare i civili. Israele per esempio avverte prima di distruggere edifici che ospitano impianti nemici e dà ai civili il tempo di sgomberarli, rinunciando all’effetto sorpresa. E’ l’esatto contrario di quel che fanno i terroristi, i quali prendono di mira solo la popolazione e non hanno neanche provato a colpire gli obiettivi militari.
Israele senza dubbi prevarrà, ma ha bisogno di tempo per farlo, perché procede sistematicamente, senza cercare di terrorizzare la popolazione, ma mirando al sodo dell’apparato militare terrorista. Il risultato dell’asimmetria fra una banda terroristica e un esercito regolare che rispetta le vite umane e ubbidisce a regole umanitarie è che l’iniziativa strategica resta in mano a Hamas. Esso ha programmato questa guerra, l’ha scatenata quando ha ritenuto utile farla e ora preme per chiuderla in modo da incamerare il vantaggio almeno comunicativo che ha accumulato. In questo tentativo di ottenere un cessate il fuoco immediato prima di pagare il prezzo del suo attacco ha sponde importanti: alcuni paesi arabi, l’Onu; e senza dubbio presto in questo senso si muoveranno gli Stati Uniti, che hanno espresso una solidarietà molto tiepida a Israele e l’Unione Europea. Per il momento Israele ha rifiutato la tregua, ma prima o poi dovrà cedere alla pressione.
Vi sono tre elementi ulteriori che destano preoccupazione. Il primo è l’atteggiamento degli arabi israeliani, o almeno di una loro parte consistente. Vi sono stati incidenti abbastanza gravi di nuovo sul Monte del Tempio, a Lod dove è stata data alle fiamme una sinagoga, ad Acco, a Haifa: dovunque convivono di solito civilmente arabi e israeliani, vi sono stati tumulti, aggressioni, vandalismi. La seconda cosa è l’atteggiamento del nemico principale di Israele, l’Iran, che ha mandato il ministro degli esteri in Siria per dare istruzioni ad Assad e Hizbullah. Bisogna sapere che il fronte del nord è almeno dieci volte più pericoloso di quello di Gaza: per numero di razzi, di truppe nemiche, per la conformazione territoriale e l’esistenza di retrovie,. Se Israele non riesce a imporsi rapidamente e completamente a Sud, il rischio è che si accenda il fronte settentrionale, se non ora alla prima occasione favorevole. Infine il fronte internazionale: come al solito la solidarietà a un paese la cui popolazione civile è attaccata con grande violenza da terroristi armati fino ai denti è molto scarsa.
I risultati di una guerra vanno giudicati dagli obiettivi delle parti. Quelli che Israele si è dato, secondo fonti vicine al suo esercito, sono tre: infliggere danni severi alle strutture terroriste di Gaza; distruggere le capacità nemiche di restaurare il loro apparato militare; ristabilire la deterrenza di Israele, cioè far sì che i nemici di nuovo abbiano timore di attaccarlo. I primi due obiettivi sono materiali e l’aviazione israeliana sta lavorando duro per raggiungerli. Il terzo è politico e ottenerlo dipende dalle percezioni delle parti. Il fatto è che Hamas ha già raggiunto alcuni dei suoi obiettivi politici. Anche se alla fine le sue forze saranno logorate e sconfitte, avrà mostrato a palestinesi e arabi israeliani di essere lui (e non Fatah) l’organizzazione capace di combattere Israele, sarà riuscito a riproporre la vecchia immagine dell’”occupazione” israeliana all’attenzione del mondo, magari convincendo i suoi sostenitori nel mondo arabo, in Europa e negli Usa che l’autodifesa israeliana è oppressiva, crudele, inumana. E soprattutto, molto probabilmente sarà riuscito a sopravvivere, non sarà rovesciati. E’ importante capire che l’eliminazione di Hamas non fa parte degli obiettivi israeliani, perché la valutazione permanente delle forze armate israeliane è che è meno peggio avere Hamas al governo di Gaza, piuttosto che il caos delle bande terroristiche che lo sostituirebbe. D’altro canto, la rioccupazione della Striscia è troppo pericolosa e costosa sul piano politico e militare. Ma nello scontro fra un gruppo terroristico e uno stato, per i terroristi la sopravvivenza è già una vittoria. Dunque il quadro stretto di questo conflitto rende difficile una vittoria decisiva israeliana. Si punta a ottenere un altro periodo di calma, non a risolvere il problema una volta per tutte.Insomma, la situazione di Israele è molto delicata. Bisogna sperare che le forze militari abbiano il tempo di completare la loro missione eliminando il grosso dell’apparato militare di Hamas e che i danni inflitti dai terroristi siano invece limitati.
Ma si deve sempre tener conto del fatto che questa guerra è solo un episodio, fra i tanti tragici che sono avvenuti nei decenni, di un conflitto dove l’obiettivo dei nemici è la vita stessa dello stato ebraico. Hamas non può credere di distruggerla in questo momento, i rapporti di forza non lo consentono affatto, ma da sempre mira a logorarla, a scalfirne la forza. La posta specifica oggi è il successo di Israele, il suo sviluppo economico e sociale, la sua capacità di instaurare relazioni col mondo e anche con molti paesi arabi e islamici. Al di là degli obiettivi militari, Hamas attacca per cercare di cancellare i successi israeliani degli ultimi anni, in particolare gli “accordi di Abramo” favoriti da Trump. Quando i combattimenti saranno cessati, Israele avrà vinto se gli accordi con Emirati, Arabia, Egitto, Marocco avranno tenuto; avrà perso se sarà avanzato il fronte di chi la vuol distruggere, guidato dall’Iran. Guardano le cose su questa dimensione politico-strategica, Israele sta ancora prevalendo e, se riuscirà a condurre la guerra con determinazione e lucida prudenza, come sta facendo, otterrà un’importante vittoria strategica, mostrando l’inutilità politica degli attacchi terroristi.