La liberazione dei quattro ostaggi tenuti prigionieri da oltre otto mesi nella Striscia di Gaza realizzata dall’IDF e dallo Shin Beth ha ridato speranza anche alle famiglie degli altri 120 ostaggi detenuti da Hamas dal 7 ottobre, giorno in cui migliaia di terroristi hanno fatto irruzione in territorio israeliano uccidendo, stuprando e rapendo anziani, donne e bambini.
I quattro ostaggi liberati sono Noa Argamani (26 anni), Almog Meir Jan (21 anni), Andrey Kozlov (27 anni) e Shlomi Ziv (41 anni). Erano detenuti in due distinti appartamenti di una zona ad alta densità abitativa di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza. La notizia del successo dell’operazione ha suscitato la felicità della popolazione. Il sentimento di gioia, tuttavia, è stato poco dopo offuscato dalla notizia della morte dell’ispettore capo della polizia israeliana Arnon Zamora, 36 anni, deceduto per le ferite riportate durante l’operazione di salvataggio degli ostaggi, che in suo onore è stata denominata “operazione Arnon”.
Nelle ultime ore i medici che seguono gli ex ostaggi hanno reso note alcune informazioni sulle loro condizioni di salute. Soffrono, tra le altre cose, di deficit vitaminici, malnutrizione, perdita di peso. Il Dottor Itai Pesach, direttore del Safra Hospital allo Sheba Medical Center – Tel Hashomer ha reso spiegato anche che «la loro situazione è simile a quella di altri ostaggi. Nelle ore iniziali, dopo la liberazione, erano entusiasti: felici, volevano comunicare e parlare di quello che hanno vissuto». Alla gioia iniziale è seguito però un deterioramento delle loro condizioni. «Hanno affrontato situazioni difficili e serviranno tanti mesi di supporto medico e psicologico». Secondo quanto rivelato da fonti dell’ospedale, i quattro si cercano continuamente tra di loro per un conforto reciproco.
Tra loro, Noa Argamani è l’unica ragazza liberata. Il suo volto aveva fatto il giro del mondo quando il 7 ottobre era stata rapita al Nova Festival dai terroristi a bordo di una moto. L’immagine di lei stretta tra due miliziani, con le braccia tese verso il fidanzato Avinatan Or mentre urlava disperatamente, ha fatto il giro del mondo ed è diventata emblematica di quella giornata. Durante la prigionia, sua madre Liora, malata di cancro al cervello al quarto stadio, si è battuta per ottenere la sua liberazione. I suoi appelli per vedere un’ultima volta la figlia prima di morire hanno commosso il mondo. Noa è stata liberata il giorno del compleanno di suo padre, che l’ha accolta abbracciandola. La possibilità di rivedere la figlia dopo otto mesi è stato considerato il regalo più bello. Nonostante la felicità per il suo rilascio, Noa non può dire di aver lasciato totalmente il trauma alle spalle, visto che il suo fidanzato Avinatan è ancora ostaggio di Hamas, mentre la madre, Liora è in gravissime condizioni di salute. Dopo una prima visita in ospedale, la ragazza è corsa proprio a trovare la madre, con la quale ha trascorso alcune ore. Al momento sono emerse poche informazioni sul periodo di prigionia di Noa a Gaza. La ragazza sarebbe stata nascosta in quattro diversi appartamenti. Da ostaggio ha imparato l’arabo, che le è servito inizialmente anche per aiutare altri ostaggi a fare alcune richieste ai loro carcerieri. Noa ha raccontato ai suoi parenti di aver rischiato più volte la vita. L’ultima volta durante l’operazione di salvataggio, quando il furgone che la trasportava si è improvvisamente rotto. In uno degli appartamenti in cui è stata detenuta avrebbe spesso lavato i piatti e cucinato per i suoi carcerieri. Per ora non si conoscono molti altri dettagli su cosa le sia accaduto in questi mesi. Noa resta ancora sotto osservazione.
I tre uomini erano invece detenuti insieme in un appartamento di Nuseirat. L’operazione di salvataggio dei tre è stata molto rischiosa e ha implicato uno scontro con armi da fuoco con i terroristi che li detenevano.
Almog Meir al suo ritorno è stato accolto dal caloroso abbraccio di amici e parenti che dopo mesi di attesa lo hanno salutato con canti e urla di gioia. La madre ha rivelato che dopo il ritorno del figlio ha finalmente potuto dormire la notte. Purtroppo il ritorno di Almog è segnato da una tragedia familiare, la perdita di suo padre. Il cuore dell’uomo non ha retto al dolore per il rapimento del figlio e dopo aver sofferto per otto mesi, dopo aver trascorso ore davanti alla televisione sperando di carpire qualche notizia su Almog, il suo cuore si è fermato poche ore prima della liberazione del figlio. Almog ha cominciato a rivelare qualche informazione sul suo periodo di prigionia. Come Noa, anche il ragazzo è stato preso in ostaggio durante il Nova Festival. La madre ha dichiarato che durante la prigionia ha imparato un po’ di arabo e di russo da Andrey Kozlov, che era detenuto insieme a lui. «Durante tutti questi mesi non hanno visto la luce del giorno. Sono stati chiusi in una stanza. Hanno provato a fargli il lavaggio del cervello» ha detto suo zio.
Andrey Kozlov è stato tenuto prigioniero insieme ad Almog. Aveva fatto l’alyiah da pochi mesi quando il 7 ottobre al Nova Festival è stato rapito dai terroristi. Quando è stato liberato dall’IDF la sua famiglia si trovava a San Pietroburgo ed è arrivata in Israele il giorno dopo. Il giovane vedendo la madre è scoppiato a piangere mettendosi in ginocchio. Andrey ha raccontato ai suoi cari che durante la prigionia ha pensato ogni giorno alla sua famiglia e alla sua compagna Jennifer Master. Andrey ha anche insegnato il russo ai suoi compagni di prigionia.
Shlomi Ziv, 41 anni, il 7 ottobre era al Nova Festival per lavorare come guardia di sicurezza insieme a due amici che sono stati assassinati dai terroristi, Aviv Eliyahu e Jake Marlowe, marito di sua cugina. Durante l’attacco di Hamas, Shlomi ha aiutato i ragazzi a scappare, fino a quando non è stato rapito. Dopo la liberazione, sua madre Rosa, intervistata da Maariv, ha commentato che il ritorno del figlio «è una grande gioia che non può essere descritta a parola. Ancora non ci credo che è qui. Credevo fermamente che Shlomi sarebbe tornato. Si deve credere nel bene, e il bene arriverà». In ospedale Shlomi è stato raggiunto dalla moglie, dalla madre e dalle figlie. Non sapeva che i suoi due amici fossero stati assassinati. Quando la moglie Miren gli ha detto che ne avrebbero parlato in un secondo momento, Shlomi ha intuito la loro sorte ed è scoppiato in lacrime. «È colpa mia» avrebbe detto ai presenti. Durante la prigionia Shlomi non sapeva cosa stesse accadendo in Israele e per ora non ha condiviso molto di cosa ha dovuto affrontare negli ultimi otto mesi a Gaza; ha però raccontato a Channel 13 di aver imparato l’arabo da trasmissioni di Al-Jazeera e che i terroristi li avrebbero quotidianamente fatti pregare leggerndo il Corano. Shlomi abita a Elkosh, un moshav vicino al confine nord. I residenti dell’area sono stati evacuati a causa della minaccia di Hezbollah e la sua famiglia non ha ancora deciso se tornare a casa o meno.