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    Lo dice l’Autorità Palestinese: gli accordi di Oslo non servono alla pace, ma alla “lotta”

    “Un passo nella lotta”

    Gli accordi di Oslo, anche dal punto di vista di Fatah, la principale organizzazione palestinese presieduta prima da Arafat e ora da Mahmud Abbas, non implicano affatto la volontà di fare la pace con Israele, ma sono “un passo nella lotta”. Possibilmente “armata”. Ogni tanto lo dicono anche loro, rigorosamente solo in arabo e non in inglese per non farsi intendere dalla “comunità internazionale” che li appoggia, a partire da Biden. Per primo lo fece lo stesso Arafat in un discorso destinato a restare segreto, ma registrato e reso pubblico, tenuto in una moschea di Johannesburg in Sudafrica il 10 maggio 1994, pochi mesi dopo la ratifica degli accordi di Oslo.

     

    Il discorso di Arafat

    “Devo parlare con franchezza, non posso farcela da solo senza il sostegno della nazione islamica […] dovete venire e combattere e iniziare la Jihad per liberare Gerusalemme, il vostro primo santuario. Nell’accordo ho insistito […], per menzionare che […] subito dopo la firma del loro accordo, [dovranno] iniziare a discutere del futuro di Gerusalemme. […] Quello che stanno dicendo è che [Gerusalemme] è la loro capitale. No, non è la loro capitale. È la nostra capitale. È il primo santuario dell’Islam e dei musulmani. Questo accordo non lo considero più dell’accordo che era stato firmato tra il nostro profeta Maometto e la tribù dei Quraysh, e ricorderete che il califfo Omar l’aveva rifiutato  [come] una ‘ tregua spregevole’. Ma Maometto l’aveva accettato e noi accettiamo ora questa offerta di pace. Per continuare il nostro cammino verso Gerusalemme, verso il primo santuario”. Per capire l’allusione di Arafat, bisogna sapere che nel marzo del 628 Maometto, dopo aver perso una battaglia importante, stipulò un trattato con la tribù nemica dei Quraysh che controllava la Mecca, impegnandosi a dieci anni di pace in cambio del permesso di fare il pellegrinaggio rituale. Dopo due anni, essendosi rafforzato, Maometto ruppe l’accordo, sterminò i Quraysh e si impadronì della Mecca. Arafat stava dicendo che anche lui avrebbe usato Oslo per rafforzarsi e rompere gli accordi quando gli fosse parso conveniente per sterminare i nemici ebrei.

     

    Un discorso che ritorna

    Arafat non è stato affatto l’unico a confessare questo progetto. Di tanto in tanto lo stesso discorso riemerge da parte dei palestinisti, anche quelli che la stampa ama presentare come “partner di pace”. È facile trovare in rete dichiarazioni pubbliche analoghe di Faisal Husseini, rappresentante dell’Autorità Palestinese per gli affari di Gerusalemme nel 2000, di Ibrahim Mudayris, funzionario dell’Autorità Palestinese presso il Ministero degli affari religiosi nel 2005, dell’alto esponente palestinese Abbas Zaki nel 2011,  di Mahmoud Al-Habbash, consigliere di Mohamed Abbas  per gli affari religiosi e islamici nonché presidente del Consiglio Supremo per la shari’ah  nel 2013, di Tawfiq Tirawi, membro del Comitato Centrale di Fatah nel 2020.

     

    La dichiarazione di Sirhan Yousef

    In questi giorni, in cui l’offensiva terroristica ha raggiunto il livello più alto di intensità da una decina d’anni, il discorso su Oslo è emerso di nuovo. L’ha fatto Sirhan Yousef, capo delle relazioni politiche di Fatah (il movimento presieduto proprio dal leader palestinese Abbas), ha dichiarato alla tv iraniana in lingua araba Al-Alam: “La Fossa dei Leoni [il gruppo terrorista molto attivo a Jenin negli ultimi mesi], le Brigate Martiri di Al-Aqsa [di Fatah], le Brigate Al-Qassam [di Hamas], così come la Jihad Islamica, sono unite nella loro volontà di continuare la loro potente attività militare, abbracciata dal nostro popolo palestinese. […] Da quando è stata fondata nel 1965 fino a oggi Fatah ha sostenuto il principio che l’unico modo per liberare tutta la Palestina è la lotta armata. Lo facciamo ancora […]. La resistenza è l’unica, in tutte le sue forme: lotta armata, intifada popolare, coltelli e attacchi con le automobili. Tutte forme di resistenza che possono, o meglio, che sicuramente ci porteranno a realizzare il nostro nobile obiettivo di liberare la Palestina. […]  ovunque in tutte le terre occupate, in tutti i suoi 27.000 chilometri quadrati [che comprendono l’intero territorio dello stato di Israele] … Tutto il nostro popolo palestinese  è sotto occupazione. Fin dal suo esordio, Fatah ha l’obiettivo  di liberare tutta la Palestina […] Noi, il popolo palestinese, stiamo conducendo la resistenza contro l’esistenza di Israele. Qualsiasi israeliano su terra palestinese è un nemico, perché non esiste uno Stato di Israele. Esiste un’entità sionista. Noi neghiamo che esso sia uno Stato, non riconosciamo il suo Stato. Come ho detto, abbiamo fatto un accordo con gli israeliani secondo il quale avremo uno Stato entro i confini del 1967, ma noi di Fatah abbiamo sempre detto che questo è solo un passo nella lotta e che continueremo la lotta fino a quando non realizzeremo il nostro obiettivo palestinese nella sua interezza”. 

     

    La lotta armata continua

    Il discorso di Sirhan Yousef, come quello di Arafat, esprime una strategia. Il terrorismo può crescere o diminuire, a seconda delle circostanze, le trattative si possono aprire o chiudere, come conviene. Ma quel che conta per i palestinisti è distruggere lo stato di Israele e impadronirsi di tutto il territorio. Ignorare queste ammissioni sarebbe folle per Israele, ma anche per i leader politici americani ed europei.

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