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    Le nuove sfide di Israele sulla sicurezza – Intervista al Vice Ambasciatore Alon Simhayoff

    Alon Simhayoff, nato a Gerusalemme nel 1977, è un diplomatico di carriera israeliano che da un anno circa serve come Ministro e Vice Ambasciatore presso l’Ambasciata di Israele a Roma. Prima di assumere questa posizione, ha lavorato come consigliere politico presso il dipartimento per la sicurezza regionale e l’antiterrorismo del Ministero degli esteri. Negli anni 2015-2018 ha ricoperto il ruolo di capo della sezione politica per gli affari europei presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale.  In precedenza era stato segretario politico e addetto culturale presso l’Ambasciata di Israele a Varsavia, e ha lavorato al ministero sulle relazioni bilaterali con Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Paesi Bassi e Austria. Con lui Shalom ha parlato dei problemi di sicurezza che Israele si trova oggi ad affrontare.

     

    Signor Vice Ambasciatore, nelle ultime settimane diverse navi in qualche modo legate a Israele sono state attaccate in mare. È una minaccia nuova, la cui responsabilità è generalmente attribuita all’Iran. Come Israele intende contrastarla?

     

    “La responsabilità dell’Iran in questi episodi è chiara: noi abbiamo identificato personalmente gli organizzatori di questi attacchi e la catena di comando che li ha decisi. Ne abbiamo denunciato pubblicamente i nomi. E’ importante dire che si tratta di una minaccia non solo per Israele ma per tutta la comunità internazionale. Non solo perché colpendo navi civili si attacca la libertà di navigazione, che è un bene di tutti, ma anche perché in questi attentati sono stati colpiti soggetti di varie nazionalità: navi di proprietà giapponese, gestite da società inglesi. L’ultimo assalto ha fatto due vittime, il comandante di nazionalità rumena e un marinaio inglese. Noi crediamo che la comunità internazionale debba affrontare insieme questa minaccia e punire i responsabili. Israele dal canto suo farà tutto quel che potrà per tutelare la sicurezza dei suoi cittadini.”

     

    Questi attacchi sono concomitanti con il cambio di presidenza dell’Iran. Le due cose sono legate?

     

    “Chiaramente non si tratta di iniziative individuali, ma di una politica dello stato iraniano. Gli attacchi sono iniziati già prima della presidenza Raisi. Ma è importante ricordare che il nuovo presidente è un estremista fanatico, coinvolto quand’era responsabile dell’apparato giuridico dell’Iran in molte esecuzioni. Il suo è uno dei governi più pericolosi ed estremisti dell’intera storia della repubblica islamica. Basta pensare al ministro degli interni  Ahmad Vahidi, che è ricercato dall’Interpol per il suoi ruolo nel terribile attentato del 1984 al centro ebraico   di Buenos Aires (AMIA), in cui furono uccise 85 persone. Lei può immaginare un ministro degli interni ricercato dall’Interpol per strage? Il ministro degli esteri Hossein Amir Abdollahian è un noto antisemita, che si è pubblicamente riferito a Netanyahu come “Hitler”. Anche il capo di gabinetto di Raisi è stato internazionalmente incriminato per torture di prigionieri. La composizione di questo governo è un chiaro segnale di violenza ed estremismo. La comunità internazionale deve mostrare forza e bloccare le politiche aggressive dell’Iran.”

     

    Non sembra che questo sia l’atteggiamento dell’Amministrazione Biden né dell’Europa, che cercano a ogni costo di rinnovare gli accordi nucleari Jpcoa con l’Iran.

     

    “La situazione è profondamente cambiata rispetto al 2015, quando furono conclusi quegli accordi. Anche grazie alla nostra pubblicazione degli archivi segreti che documentano i loro progetti di armamento nucleare, oggi tutti dovrebbero capire che non è possibile fidarsi dell’Iran. Il regime iraniano è andato molto avanti nella preparazione del combustibile per la bomba atomica e anche di missili capaci di trasportarla. Gli accordi Jpcoa non tenevano conto delle preoccupazioni degli stati vicini all’Iran, fra cui Israele, ma non solo. Noi crediamo che la comunità internazionale oggi debba prenderli in considerazione e bloccare non solo i piani nucleari dell’Iran, ma anche il suo progetto imperialista.”

     

     Ma il ministro della difesa di Israele, Benny Gantz, ha appena dichiarato che in dieci settimane l’Iran potrà aver accumulato abbastanza uranio arricchito da costruire un ordigno nucleare. Come cambierà la politica del Medio Oriente, allora? Che farà Israele?

     

    “Noi pensiamo che quel momento non debba mai essere raggiunto. Israele non è disposto ad accettare un armamento nucleare iraniano.”

     

    Di recente, per la prima volta da decenni, Hezbollah ha bombardato Israele con i suoi missili. E’ un problema significativo?

     

     “Il Libano ha gravissimi problemi economici e strutturali. Hezbollah, invece di cercare di migliorare la situazione del suo paese, persegue solo gli interessi dell’Iran. E’ un’organizzazione terroristica che ha commesso molti crimini e attentati, anche in territorio europeo. Bisogna accrescere la pressione internazionale per fermarli. L’Iran agisce tramite organizzazioni satellite, come Hezbollah, Hamas, gli Houti in Yemen, eccetera. Sta cercando di armarli con sistemi missilistici di precisione che potrebbero minacciare seriamente la sicurezza di Israele. Noi siamo determinati a impedirlo.”

     

    Gli accordi di Abramo stanno per compiere un anno. Hanno raggiunto il loro risultato?

     

    “Sono stati uno sviluppo importantissimo, che ha cambiato profondamente il Medio Oriente. Abbiamo ottimi rapporti con gli Emirati e il Bahrein, scambieremo presto rappresentanze diplomatiche col Marocco, con altri stati ci sono trattative. Il ruolo di Israele nel Medio Oriente è molto cambiato. Io sono molto ottimista su questo. C’è un’altra cosa da considerare: non bisogna vedere questi accordi come alternativi alla soluzione della questione palestinese. Noi crediamo al contrario che possano essere la strada per arrivare a una convivenza pacifica.

     

    Che cosa possono fare gli ebrei italiani per aiutare Israele in questo momento?

     

    “Mi permetta di dire una cosa: sono qui da un anno dopo tante esperienze internazionali e sono stato veramente colpito dall’incontro con la comunità romana: consapevole, compatta, fiera della propria identità. La manifestazione organizzata qualche mese fa durante il conflitto a Gaza, con tanta gente e tanti politici che sono venuti a darci la loro solidarietà ha fatto una grande impressione anche al Ministero a Gerusalemme. Noi contiamo che la comunità di Roma e gli ebrei italiani continuino a sostenere Israele e a operare perché aumenti in Italia la consapevolezza della situazione in Medio Oriente. A proposito di questo devo dire che sono stato deluso dal fatto che, dopo tante espressioni politiche di solidarietà con Israele, l’Italia non abbia supportato Israele all’Onu. Bisogna lavorare per cambiare le posizioni italiane su questo tema nelle organizzazioni internazionali”.

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