
Il fronte nord
Non bisogna farsi travolgere dal disfattismo e dall’ondata d’odio che la propaganda antisemita diffonde nel mondo: Israele sta vincendo. Alcune notizie poco considerate o addirittura occultate dai media lo fanno vedere chiaramente. Incominciamo dal fronte settentrionale. In Libano sta accadendo una cosa inconcepibile anche solo un anno fa: esponenti governativi parlano in televisione della necessità di normalizzare i rapporti con Israele, ma soprattutto le forze armate libanesi stanno attivamente lavorando per distruggere basi militari e depositi di armi di Hezbollah nella zona di confine e lo fanno guidati dalle informazioni di intelligence che provengono da Israele. Vi è cioè una collaborazione fra servizi di informazione israeliani e forze armate del Libano per spiantare i resti di Hezbollah. Nel frattempo continuano incursioni aeree israeliane sulle basi terroriste più arretrate, verso il confine con la Siria, sui capi che provano a riannodare le fila del terrorismo e sui rifornimenti provenienti dall’Iran. Qualcosa di analogo avviene in Siria. Non vi sono più notizie di tentativi di strage ai danni dei drusi, che si sono messi sotto la protezione di Israele; voci insistenti parlano di colloqui diretti in corso fra Israele e il nuovo regime siriano, fortemente volute da Trump. Ma allo stesso tempo Israele agisce militarmente contro basi e installazioni che ritiene possano presentare un pericolo: l’ha fatto per esempio venerdì lungo la costa di Latakia. abbastanza vicino al confine turco.
Giudea e Samaria
Continua paziente e scrupolosa anche l’azione antiterrorismo nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese. Ogni tanto ci sono delle esplosioni di violenza, degli attentati anche particolarmente odiosi come quello che ha ucciso due settimane fa la trentenne incinta di nove mesi Tzeela Gez mentre veniva accompagnata dal marito in ospedale per partorire, e che ha fatto morire dopo dieci giorni di agonia anche il suo bebé. Ma in generale nei Territori non si è sviluppata quella sollevazione su cui contavano i terroristi e la calma si è mantenuta anche fra gli arabi israeliani. Il merito va innanzitutto alle forze che sorvegliano le località a rischio e reprimono velocemente ogni atto terroristico. Ma vi è di più: per Israele si tratta di un grande successo politico oltre che militare, perché testimonia il fatto che, nonostante tutta la propaganda, la grande maggioranza della popolazione araba nei territori preferisce vivere una vita normale, usando una condizione socio-economica assai migliore degli abitanti dei paesi vicini, piuttosto che darsi alla guerriglia.
Gaza
Ma la mossa decisiva di questo periodo è avvenuta a Gaza. Non si tratta del procedere lento e sistematico dell’operazione “Carri di Gedeone”, che mira al controllo di tutto il territorio della striscia per spiantarvi Hamas, distruggere tutte le fortificazioni sotterranee in cui si nasconde e liberare i rapiti. Un po’ per i soliti freni internazionali e di nuovo anche americani nonostante le frequenti dichiarazioni filo-israeliane di Trump; un po’ per la difficoltà operativa di agire in un ambiente urbano cercando di non danneggiare i civili ma di non essere colpiti dai terroristi mescolati fra loro e asserragliati nelle costruzioni; un po’ perché come dicono gli ufficiali israeliani le guerre sono due, una alla superficie e una sotterranea: per tutte queste ragioni l’azione della fanteria procede con prudenza e dunque non può essere veloce.
I centri di distribuzione
La mossa vincente è invece civile, sono i quattro centri di distribuzione degli aiuti alimentari impiantati, difesi e riforniti e a quanto pare anche pagati da Israele ma gestiti da una società americana, che distribuiscono ormai almeno un milione di pasti giorno direttamente, senza che i rifornimenti passino per le organizzazioni internazionali collegate all’Onu o per Hamas (spesso le due cose coincidono), ma venendo invece consegnati alle famiglie e davvero gratis, senza le grandi tangenti che prelevava Hamas e quelle minori ma significative, degli operatori internazionali, senza accumuli speculativi, insomma in maniera giusta e ragionevole. Gli antisemiti della stampa e della politica internazionale hanno voluto presentare questa operazione di soccorso come una macchina repressiva, una parte del “genocidio”, addirittura qualcuno ha scritto commentando una foto che mostrava le transenne costruite per ordinare la coda di migliaia di percipienti che si tratterebbe addirittura dell’“immagine attuale di Auschwitz”. Tanto può l’odio e il fanatismo. Hamas naturalmente ha cercato in tutti i modi di impedire il funzionamento dei centri con assalti fisici e fake news. Ma i gazawi accorrono ed esprimono gratitudine all’America e a Israele. Si è costituita perfino per la prima volta una milizia per difendere i soccorsi dai taglieggiamenti di Hamas.
Perché è importante
Dal 2007 e anche per tutta la guerra Hamas ha agito a Gaza come Stato di fatto: ha gestito ospedali, anagrafe, tribunali, ordine pubblico, e anche i rifornimenti alimentari, sempre non nell’interesse dei suoi amministrati ma di se stesso e della sua “lotta”. Le incursioni israeliane di questi mesi non hanno scardinato il meccanismo statuale di Hamas. Durante la guerra sono naturalmente diventati cruciali i soccorsi di cibo, che sono sempre stati molto abbondanti. Ma Hamas li sequestrava tutti, li accumulava per dare ai media internazionali il pretesto anti-israeliano di una fame diffusa, e anche per far crescere il prezzo degli alimenti, anche se i soccorsi erano gratuiti, e poi li vendeva come e quando riteneva opportuno. Ciò era una fonte essenziale del capitale con cui pagare le armi e gli stipendi dei terroristi e anche un mezzo di ricatto per tutti i suoi sudditi. Ora la nuova distribuzione scardina questo meccanismo, toglie ai terroristi il principale sostegno economico e ne mina anche il carattere di governo, tanto che la gente ha iniziato ad assaltare i ben forniti magazzini suoi e degli enti dell’Onu (che spesso, ripetiamolo, sono la stessa cosa). Se questi centri di rifornimenti si stabilizzeranno e non saranno eliminati con la violenza o con qualche clausola di un accordo di tregua, in breve il potere di Hamas su Gaza sarà seriamente compromesso, aprendo forse la strada a una pace vera.