Il negoziato
Nella convulsa e confusa trattativa fra Israele e Hamas, condotta con molta insistenza da Stati Uniti, Egitto e Qatar, ieri sera c’è stata una serie di colpi di scena. Israele aveva dichiarato qualche giorno fa di accettare “un’offerta molto generosa” (così definita dal segretario di Stato Usa Blinken) che comprendeva la rinuncia per il momento a entrare nell’ultima roccaforte di Hamas Rafah, una tregua di 6 settimane, la liberazione di una trentina di rapiti in cambio del rilascio di un numero molto più alto di terroristi condannati e detenuti nelle carceri israeliane, il permesso di un rientro controllato di parte degli abitanti di Gaza Nord. È un accordo che ha suscitato parecchie critiche in Israele, proprio per il fatto di concedere moltissimo a Hamas. Nel pomeriggio di ieri sembrava che anche questa proposta fosse stata rifiutata come le precedenti da Hamas, che aveva annunciato il ritiro della sua delegazione dalla sede delle trattative al Cairo. Israele aveva minacciato di iniziare le operazioni a Rafah se Hamas non avesse accettato l’accordo entro una settimana e aveva iniziato a distribuire alla popolazione civile della città volantini e messaggi con le istruzioni per allontanarsene verso una zona al sicuro dei prossimi combattimenti.
Il colpo di scena
Poi è venuto il primo colpo di scena. Hamas ha annunciato con molto clamore di aver accettato la proposta di cessate il fuoco. Sembrava che si aprisse una prospettiva di liberazione per i rapiti. Però rapidamente è emerso che ciò che i terroristi accettavano non era la proposta di Israele, ma un’altra formulata dal Qatar (che copre il doppio e contraddittorio ruolo di mediatore ufficiale e di protettore di fatto dei terroristi) e dall’Egitto (che ha una posizione contraddittoria anch’esso, perché vorrebbe apparire come difensore degli abitanti di Gaza ma rifiuta in tutti i modi di accoglierli sul suo territorio che confina con la Striscia e in particolare con Rafah).
L’obiettivo di Hamas
Da quel che si sa, questa proposta accettata da Hamas differisce da quella cui Israele aveva consentito soprattutto in un punto ma fondamentale. Per i terroristi il cessate il fuoco è solo un passaggio verso la fine immediata della guerra, senza la conquista di Rafah, la distruzione delle loro forze militari ancora organizzate che vi hanno sede, senza la cattura o l’eliminazione dei capi che hanno condotto prima il pogrom del 7 ottobre e poi la guerra di questi mesi. In sostanza quel che vuole Hamas è restare al potere a Gaza ed espellerne l’esercito israeliano, il che naturalmente significherebbe evidentemente la sconfitta dello stato ebraico, perché sarebbe la premessa della ripetizione di stragi come quella di sette mesi fa. Tutti i sacrifici sostenuti da Israele, tutti i morti, tutto il costo economico e umano di questi mesi sarebbero vanificati. È chiaro che questa resa dello stato ebraico – l’obiettivo di Hamas – sarebbe una catastrofe storica per Israele e una vittoria altrettanto storica per il terrorismo e l’Iran che lo sostiene e lo dirige. Il rifiuto di Israele era ovvio ed è stato sottolineato dall’operazione militare per cui l’esercito ha colpito ieri notte numerosi obiettivi terroristici a Rafah ed ha anche preso il controllo del valico con l’Egitto, un passo importante che rassicura il paese vicino e sigilla l’enclave terrorista.
Le ragioni della sceneggiata
Perché dunque è avvenuta la sceneggiata di Hamas? Bisogna ricordare sempre che “la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi” (Clausewitz). Hamas è molto abile a fare politica contro Israele e sa che può vincere solo su questo piano, non su quello delle armi. Dalla sua ha chiaramente l’alleanza guidata dall’Iran, appoggiata sullo sfondo da Russia e Cina, ma anche l’orribile rigurgito antisemita che circola per l’estrema sinistra e le università occidentale. Ma può contare anche sulla pavidità europea e dell’amministrazione americana che per opportunismo di politica interna considerano importante una pace qualunque magari pessima ma veloce, rifiutando di accettare i sacrifici necessari per l’eliminazione di un terrorismo che non minaccia solo Israele ma anche tutto l’Occidente. Hamas specula anche sulle divisioni della società israeliana, sulla tentazione della sinistra di dare una spallata contro Netanyahu e sul legittimo desiderio delle famiglie dei prigionieri di fare qualunque cosa per liberarli, anche se la logica politica e militare chiede di privilegiare l’eliminazione di Hamas su compromessi che riprodurrebbero il rischio. L’annuncio era una delle molte mosse di Hamas per cercare di bloccare e sconfiggere Israele. La pressione sul governo israeliano oggi è enorme, e Hamas lo sa bene. Non a caso Netanyahu ha scelto l’altro ieri l’occasione solenne delle celebrazioni di Yom HaShoà per dichiarare che “il mondo deve sapere che se ci lascerà soli ad affrontare il terrorismo, lo faremo da soli”.