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    L’ondata di terrorismo individuale in Israele perché è sorta di nuovo e come finirà

    Giovedì 16 dicembre, uno studente di yeshiva di 25 anni, Yehuda Dimentman, è stato ucciso da uomini armati palestinesi che hanno teso un’imboscata al suo veicolo nell’avamposto di Homesh in Samaria. All’inizio di questo mese, una ragazza palestinese di 14 anni ha accoltellato una madre ebrea che camminava con i suoi cinque bambini piccoli in un attacco terroristico a Gerusalemme. Una settimana fa, sabato mattina, una donna araba di 65 anni ha accoltellato un israeliano nella città di Hebron, vicino alla Grotta dei Patriarchi.  Il mese scorso, il 26enne immigrato sudafricano Eliyahu Kay, guida turistica al Kotel, è stato ucciso a mitra a Gerusalemme da un terrorista affiliato al gruppo islamista Hamas, mentre si recava al lavoro. L’esercito israeliano martedì scorso ha sventato un tentativo di investimento di un’auto guidata da un terrorista palestinese in un posto di blocco militare in Cisgiordania. Venerdì alla stazione degli autobus di Tel Aviv è stato arrestato un ragazzo di 16 anni armato di coltello.

     

    Sono questi alcuni (non tutti) fra gli episodi di microterrorismo che nelle ultime settimane hanno colpito Israele. Ormai è un’ondata simile a quella che cinque anni fa fu chiamata “intifada dei coltelli”: si tratta di terroristi che agiscono da sole e prendono di mira delle vittime scelti a caso, con la sola condizione che appaiano evidentemente ebrei: essi sono di solito colpiti vigliaccamente alle spalle. Ancor di più se si tratta di persone che non sembrano in grado di difendersi: perché non sono consapevoli del pericolo, hanno le mani impegnate, sono donne. A differenza di quel che è successo negli anni scorsi, sono di nuovo usate anche le armi da fuoco, il che rende naturalmente più pericolosi gli attacchi. I terroristi hanno tutte le età e le condizioni, possono essere donne anziane come a Hebron, ragazzine che vanno ancora alle scuole superiori come nell’accoltellamento della donna con i figli in carrozzina come a Gerusalemme, uomini armati di fucile come nell’attentato vicino al Kotel. C’è una certa concentrazione degli attentati a Gerusalemme, ma anche Giudea e Samaria e perfino Tel Aviv non sono immuni.

     

    Il fatto che i terroristi agiscano da soli non vuol dire che siano isolati, secondo la vecchia e falsa immagine dei lupi solitari. Per lo più l’indagine mostra legami con Hamas, ma anche con altre organizzazioni terroriste arabe. Può essere un legame organico, come per esempio nel caso dell’assassino della guida turistica di Gerusalemme, che era un dirigente locale di Hamas e faceva di professione l’insegnate di religione islamica in una scuola di un quartiere arabo di Gerusalemme; oppure il vincolo con le organizzazioni terroristiche può essere più indiretto. Certamente c’è una forte pressione propagandistica palestinista per far ripartire questa forma di terrorismo individuale, che nel gergo palestinista è chiamata “resistenza popolare”. Lo vuole Hamas, il cui isolamento internazionale cresce e le cui speranze di disporre per sé gli ingenti finanziamenti internazionali per la ricostruzione di Gaza declinano. Lo vuole Fatah, che si trova di fronte alla concorrenza politica di Hamas, all’indebolimento della sua influenza sulla parte araba di Giudea e Samaria, alla caduta delle popolarità del suo capo Mohamed Abbas. In generale, nonostante le manovre dell’amministrazione Biden, la normalizzazione fra Israele e paesi arabi e musulmani avanza, rendendo irrilevante la leadership palestinista e la sua strategia di contrapposizione frontale con Israele. Ciò induce a cercare visibilità col terrorismo, a continuare a finanziare gli assassini arrestati, a proteggere gli attentatori. Lo vuole infine l’Iran, che cerca ogni modo di destabilizzare lo stato ebraico.

     

    La buona notizia è che i terroristi non sfuggono alla difesa di Israele; per lo più la loro azione viene fermata prima di ottenere risultati e anche quelli che riescono a sparare o ad accoltellare e fuggono sono presi rapidamente. Se il terrorismo vuole indurre panico nella popolazione israeliana ed entusiasmo in quella araba, innescando torbidi come quelli che si svolsero nelle città miste durante l’ultima operazione a Gaza, chiaramente non ci riesce. E’ probabile che purtroppo possa arrivare nelle prossime settimane qualche altro crimine doloroso, ma l’esperienza insegna che queste ondate terroriste, fronteggiate con forza dalle forze dell’ordine e con calma dalla popolazione, finiscono con lo spegnersi. Speriamo che accada al più presto.

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