Le richiesta del pacifisti
Continuamente politici e personaggi vari, ecclesiastici partiti e media chiedono a Israele di chiudere l’operazione contro Hamas, per consentire finalmente il sollievo per i civili di Gaza e la pace per tutti. Senza discutere qui sulla buona fede e l’onestà di queste richieste, bisogna dire che esse sono fortemente irrealistiche. Mentre Israele conduce a Gaza la sua caccia ai terroristi e alle loro istallazioni, il conflitto infuria per tutto il Medio Oriente e ha sempre più il volto di un’offensiva generalizzata contro l’Occidente. Allineiamo alcuni fatti recenti.
Da Gaza
Innanzitutto Gaza stessa: ieri è partita una raffica di una trentina di missili contro Ra’anana, una località civile in territorio israeliano (vale la pena di dirlo per quelli che fanno queste distinzioni: il territorio “storico” di Israele, quello riconosciuto da tutto il mondo compresi parecchi paesi arabi, dove anche è stata compiuta la strage del 7 ottobre). I missili sono stati tirati da una località vicina a un ospedale. Israele ha trovato finora circa 700 istallazioni di lancio, quasi tutte in case civili, ospedali, scuole. Nessun pacifista ha chiesto finora a Hamas di smettere di sparare.
Dall’Iran
Poi bisogna parlare dell’Iran: nei giorni scorsi i suoi barchini hanno catturato nel Golfo Persico una petroliera americana; l’altro ieri c’è stato il bombardamento del consolato americano a Irbil, nel Kurdistan iracheno, che ha fatto abbastanza vittime civili da provocare la protesta ufficiale del governo dell’Iraq. Sempre in Iraq, nei giorni scorsi i gruppi sciiti filoiraniani hanno sparato missili su altre istallazioni americane e c’è stato una rappresaglia Usa. Ieri dall’estremo est del paese, l’Iran ha bombardato la Siria, dicendo di mirare all’Isis, ma sottolineando che l’ampiezza del percorso dei missili balistici era di 1200 chilometri, cioè equivalente alla distanza da Israele. E’ stato rivelato infine che qualche giorno fa le guardie rivoluzionarie iraniani hanno colpito formazioni sciite in Pakistan.
Dagli altri fronti
Gli Houti dello Yemen, anche se attaccati dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti – alcuni dicono in maniera più “scenica”, cioè fatta per la comunicazione, che reale – ha continuato a colpire le navi di passaggio: ieri una greca e una americana, entrambe, secondo la versione degli Houti, dirette in Israele, anche se gli armatori smentiscono. In realtà si tratta di un ricatto all’Occidente perché abbandoni Israele, se non vuole il blocco del Mar Rosso e del Canale di Suez, passaggi essenziali del traffico dell’Europa e del Nord America con l’Oriente. Infine c’è il Libano, dove gli Hezbollah continuano a colpire i civili, oltre a sparare occasionalmente sule basi militari. Vi sono stati attacchi terroristici in Giudea e Samaria, attacchi di contrabbandieri dall’Iraq alla Giordania e dall’Egitto a Israele.
La morale
Quel che emerge da questa scarna cronaca degli ultimi giorni è che in Medio Oriente l’idea della pace come situazione normale, della risoluzione consensuale delle dispute internazionali, del rispetto della legge internazionale che proibisce gli attacchi ai civili e la pirateria, è del tutto assente. Se questi principi sono stati rispettati per qualche tempo in passato, ciò è avvenuto grazie al predominio americano, in crisi almeno da quando Obama rinunciò a far rispettare le “linee rosse” sulla Siria che aveva enunciato; il ritiro dall’Afghanistan deciso goffamente e peggio eseguito da Biden è stata la pietra tombale della “deterrenza” Usa. Oggi chiunque combatte contro chi giudica suoi nemici, compresi i conflitti fra sciiti e sunniti, fra paesi che vogliono conservare lo status quo e che vogliono sovvertirlo. Rendere responsabile Israele di questa esplosione di violenza vuol dire diffondere la propaganda antisemita; chiedergli di fermarsi prima di aver eliminato le organizzazioni nemiche ai suoi confini è tentare di indurlo al suicidio. Ma per fortuna gli ebrei e in particolare gli israeliani amano la vita e sanno di non dover cadere in queste trappole