Angelica Edna Calò Livnè, insegnante, educatrice, formatrice, regista, scrittrice, fondatrice e direttrice artistica della Fondazione Beresheet LaShalom – Un inizio per la pace – non ha lasciato il kibbuz di Sasa in Alta Galilea neppure nei giorni più terribili dell’assalto dei terroristi di Hamas. Delle 450 persone che risiedevano a Sasa solo in 50 sono rimasti a presidiare: i bambini e gli anziani sono stati evacuati al centro d’Israele, lontano dai missili.
Come vedi Israele dal rifugio da cui ci parli?
Israele è stata trascinata in una guerra che non voleva. È stata trascinata in un trauma che sarà difficilissimo da superare, peggio della Shoah, perché nella Shoah eravamo in Europa, dove siamo sempre stati ospiti. In Israele eravamo a casa. Ci hanno massacrato nelle nostre case e l’hanno fatto nel modo più terribile che possa essere stato perpetrato. Ma nel corso dei secoli abbiamo sviluppato un senso di resilienza, siamo diventati veramente un’araba fenice. Ci sgretoliamo perché ci sgretolano ma ci ritiriamo su come per miracolo. Oggi non vogliamo vendicarci, vogliamo proteggere e difendere la nostra casa.
Dove trovi l’energia per reagire?
Il mio segreto è il segreto dei tre metalli: una salute di ferro, una volontà di acciaio e … un marito d’oro! Che anche in questi momenti riesce a darmi calma e sicurezza.
Parlaci dei tuoi ragazzi
In questo momento ho tre figli su quattro arruolati, due di loro sono ufficiali. Quando hanno terminato la Zavà, hanno lasciato la divisa e riconsegnato il fucile. Sono stati madrichim in tutti i nostri progetti. Sono cresciuti in una famiglia in cui il dialogo, la pace e l’educazione sono alla base di tutto, perché noi vogliamo educare non all’odio ma all’accoglienza e al dialogo.
Come sarà Israele quando la guerra finirà?
Personalmente non vedo l’ora di poter riabbracciare tutta la mia famiglia a Sasa: i miei figli, i miei nipoti. Spero che questa volta si riesca a sbarazzarsi dei capi di Hamas. Finché non verranno cancellati i capi di Hamas non staremo bene né noi né i palestinesi dall’altra parte perché loro sono gli scudi umani e noi, secondo loro, dobbiamo essere cancellati dalla faccia della terra. Stanno facendo di tutto per coinvolgere gli altri Paesi arabi, per far venire fuori tutto l’odio e tutto il veleno che hanno accumulato. Siamo un Paese straordinario, siamo fatti di una pasta straordinaria mentre i nostri vicini incitano alla morte e alla violenza. Non conosco il sentimento dell’odio, non riesco ad immaginarlo.
Quali sono a tuo parere i mezzi che Israele può utilizzare per far conoscere al mondo quello straordinario Paese che è?
Sto terminando di scrivere un libro con Silvia Guetta, si intitola ‘Laboratori e strategie di comunicazione attraverso le arti: sentieri verso la pace con noi stessi e con gli altri’. Nel libro dimostro l’importanza di uno dei pilastri dell’ebraismo, la ‘hemlà’, la compassione. La comprensione del dolore dell’altro. Quando diciamo: ‘Se potessimo con le lacrime delle madri lavare il sangue di tutte le vittime innocenti di questa guerra’ risvegliamo l’empatia, il mondo si rende conto della nostra umanità, della nostra profonda volontà di pace.
Il vostro spettacolo Beresheet racchiude un messaggio contro l’indifferenza?
Credo profondamente che il nostro lavoro sia una dimostrazione di fiducia nell’avvenire, una vittoria del bene, della positività e della luce sul male e sulle tenebre. Il viaggio in giro per il mondo dei nostri ragazzi racconta che la realtà è fiducia nell’uomo in quanto tale, è solidarietà e partecipazione, coinvolgimento e lotta contro chi pretende di capovolgere i valori che danno anima alle nostre comunità. Erano in dieci e sono divenuti un gruppo affiatato che oramai raccoglie più di cinquecento ragazzi ebrei, cristiani, musulmani e drusi. Insieme raccontano danzando il bisogno profondo di pace di chi conosce la guerra in prima persona e della comprensione, unica arma contro l’odio razziale. Esprimono l’importanza e il valore immenso della differenza come fonte di ricchezza e di crescita, e non come motivo di conflitto.
Israele luce per i popoli, presidio per l’Occidente?
Siamo descritti come mostri, la Shoah non è passata, ma noi siamo ‘or lagoym’ siamo luce per i popoli. Noi siamo qui per difendere Israele con tutti i suoi cittadini: ebrei, musulmani, drusi, cristiani siamo qui per proteggerlo. Israele è l’ultimo baluardo prima dell’invasione della pazzia di DAESH, dell’ISIS: non sia mai che succeda qualcosa In Israele, non c’è più un presidio per l’Occidente. Occorre mettere in guardia contro i terroristi. Noi mandiamo i nostri figli in guerra per difendere l’Occidente. Ora più di sempre dobbiamo ricordarci di rimanere uniti, religiosi e laici, destra, sinistra, Israele e golà. Dobbiamo rimanere quella meravigliosa scintilla che ci ha tenuto vivi, colmi di energia e positività nel corso di tutta la storia!