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    ISRAELE

    Israele: i teatri di guerra e i parametri della vittoria

    Gli scenari
    L’anno più difficile della storia di Israele a partire dalla fondazione dello Stato è ben lungi dall’essere concluso e nessuno può dire come andrà a finire. Ma sono abbastanza chiari i campi in cui si giocherà questa vicenda politica e militare ed anche i parametri su cui valutarli. I teatri principali di guerra sono due, Gaza al sud e i confini con la Siria e soprattutto col Libano al nord. In Giudea e Samaria c’è poi un fronte terroristico. Vi è quindi il fronte diplomatico, il cui centro è il rapporto con gli Stati Uniti, ma in esso ha anche molto peso il quadro regionale con l’Arabia e i paesi arabi moderati e vi è pure l’aspetto legale e dell’opinione pubblica occidentale. E infine bisogna considerare campo interno, cioè il modo in cui evolverà la politica israeliana. Tutti questi teatri possono evolvere in maniera più o meno positiva. Per vincere Israele deve prevalere almeno sui campi militari e diplomatico, perché gli altri dipendono da questi.

    Le guerre
    Sul piano militare Israele è in vantaggio a Gaza, dove però rischia di essere fermato dalla pressione internazionale. Il parametro della vittoria è la distruzione militare e organizzativa di Hamas, l’eliminazione dei suoi capi, la liberazione degli ostaggi, la demilitarizzazione e deradicalizzazione di Gaza. Tutto ciò può avvenire in gradi diversi. Israele dovrà cercare di ottenere la propria sicurezza senza contrapporsi troppo vistosamente con gli alleati occidentali. Ci sono forze potenti che cercano di impedire una vittoria completa, bloccando l’azione militare e immaginando un’amministrazione “unitaria” della Striscia. Israele non può accettarlo, come non può riconoscere uno Stato palestinese: bisogna vedere quanto sarà in grado di tener duro. Al nord per mesi la guerra è andata avanti con colpi non decisivi, ma poi si è gradualmente approfondita. Il parametro della vittoria è lo spostamento di Hezbollah abbastanza lontano dal confine da non presentare una minaccia immediata. Ma i terroristi appoggiati dall’Iran hanno decine di migliaia di missili che possono colpire tutta Israele. È possibile che ciò consigli loro di accettare il ritiro, conservando l’armamento e la minaccia per Israele. Oppure ci può essere la guerra vera, con azioni aeree pesanti su tutto il Libano e una grande operazione di terra, che però saranno contrastati con bombardamenti molto gravi su Israele. È certo che Israele ha i mezzi per prevalere, ma il costo sarebbe pesante. In caso di guerra aperta, il parametro della vittoria è una distruzione di Hezbollah analoga a quella prevista per Hamas, ma certamente molto più difficile. E c’è l’incognita dell’Iran, “quasi” armato di bombe atomiche, che potrebbe non accettare la distruzione del suo principale movimento dipendente e intervenire. D’altro canto Israele non può restare fermo, perché la minaccia dal nord è un 7 ottobre dieci volte più grande. Vi è infine il fronte terrorista in Giudea e Samatia, finora controllato bene, che però potrebbe esplodere anche per un possibile collasso dell’Autorità Palestinese. Israele non vuole uno stato palestinese che sarebbe un santuario per il terrorismo e deve difendere lo status quo; ma non può permettersi neanche l’anarchia a due passi da casa.

    La politica
    La maggior parte delle istituzioni internazionali, dei media, delle forze politiche e intellettuali in Occidente sono contro Israele, così gli stati dell’asse Cina-Russia-Terzo Mondo; per fortuna questo non è vero della maggioranza dell’elettorato americano e di buona parte di quello europeo; ma la propaganda antisionista (in buona parte antisemita) è incessante e sarà importante la risposta di Israele. Un campo senza dubbio conflittuale è quello della politica interna. Alla fine della guerra vi saranno commissioni di inchiesta per verificare gli errori prima di tutto informativi e poi anche militari e politici che hanno portato al 7 ottobre. Sono già state annunciate dimissioni eccellenti. Bisognerà vedere se la necessaria revisione investirà il governo. Le elezioni sono dovute solo nell’autunno del 2026, ma è possibile che siano anticipate, anche quest’anno. Il loro risultato dipenderà dall’accertamento delle responsabilità, dai risultati della guerra, da schieramenti politici che possono variare, da quanto sarà stata sanata la grande rottura dell’opinione pubblica. Da esse dipenderà il futuro di Israele.

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