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    Intervista a Nir Goldstein: “Accordi bilaterali tra Israele e Italia sono un’opportunità da non lasciarci sfuggire”

    Come sarà il cibo del futuro, tra sostenibilità e gestione delle risorse? Un primo assaggio è stato offerto alla recente Maker Faire Rome – The European Edition, l’evento più importante dedicato all’innovazione e alla creatività, patrocinato dall’Ambasciata d’Israele in Italia. Oltre ai temi più conosciuti come la robotica e l’intelligenza artificiale, protagoniste di questa settima edizione sono state infatti le innovazioni nel settore alimentare. A spiegare i principali mutamenti in corso è stato Nir Goldstein, amministratore delegato del Good Food Institute Israel (GFI), organizzazione no profit israeliana che promuove la ricerca scientifica ed è il principale sponsor mondiale della ricerca accademica nelle proteine alternative, nuovi modi innovativi per produrre carne senza utilizzare animali, nello specifico la carne coltivata. Goldstein ha rilasciato un’intervista a Shalom per parlarci di questo settore emergente, e ancora poco conosciuto in Italia, di cui Israele è uno dei leader globali.

     

    A che punto è la ricerca sulle proteine alternative? 

     

    Io credo che al momento ci stiamo trovando all’inizio di una nuova rivoluzione industriale nel sistema alimentare. Per la prima volta nella storia sappiamo fare la carne senza la necessità di avere un animale. Quando parliamo di proteine alternative ci riferiamo a tre tipologie differenti: plant-based meat, fermentation e cultivated meat. Per quanto riguarda i primi, abbiamo prodotti di qualità da decenni. Al giorno d’oggi, stiamo ottenendo prodotti eccellenti bio-mimeticamente. Ci sono consumatori che non notano differenze con la carne. Per quanto riguarda i cultivated meat, la ricerca è agli inizi e nel 2021 abbiamo lanciato il primo prodotto a Singapore.

     

    Secondo le stime del vostro Istituto, l’anno scorso c’è stato boom di vendite per i prodotti plant-based negli USA: qual è la situazione attuale a livello globale?

     

    La vendita di questi prodotti sta crescendo ovunque, abbiamo riscontrato un incremento a doppia cifra in tutte le categorie. I prodotti che hanno avuto più successo sono quelli di uso quotidiano, come il latte di soia, che in questo momento costituiscono il 15% del mercato e che secondo le nostre stime raggiungerà più del 50% entro il 2030. Ma anche altri prodotti, come la carne, stanno vivendo un buona progressione. Entro dieci anni questi prodotti raggiungeranno il 10% di un mercato da 2 trilioni di dollari.

     

    In questo momento molte delle proteine alternative sono costose. In quanti anni diventerà competitiva la loro vendita?

     

    Al momento dipende dalla domanda e dall’offerta di queste proteine, perché la loro produzione a volte è più economica rispetto a quelle tradizionali. Secondo le stime del Boston Consulting Group i prodotti plant-basedavranno lo stesso prezzo, se non addirittura inferiore, della carne normale il prossimo anno; per la fermentazione dovremo attendere il 2025 e per la cultivated meat il 2030.

     

    Recentemente il GFI ha dichiarato la necessità di una presenza maggiore di investitori pubblici nella R&D di proteine alternative. Quali sono le cifre messe in campo per questo settore?

     

    I finanziamenti pubblici per le proteine alternative non ci sono, e se ci sono non raggiungono il miliardo di dollari. Ci sono alcune eccezioni come Israele, Stati Uniti, Singapore e in parte l’UE, ma considerando che l’industria alimentare è responsabile di circa il 30% del riscaldamento globale, abbiamo bisogno di un rapporto simile in investimenti pubblici. Dovrebbero essere diretti decine di miliardi di dollari nel nostro settore. L’Unione Europea sta facendo un buon lavoro a riguardo, perché la sua agenzia per l’innovazione ha messo al primo posto le proteine alternative per l’innovazione alimentare.

     

    Il Good Food Institute ha una sede anche in Israele, di cui lei è responsabile. Che ruolo sta giocando la Startup Nation nella ricerca in questo settore?

     

    Israele è il principale hub mondiale per la ricerca e l’innovazione. Nonostante sia un Paese molto piccolo, ha delle caratteristiche uniche che gli permettono di guidare il campo delle proteine alternative. Uno dei pregi dello Stato ebraico è quello di prendere la ricerca accademica per farne un prodotto aziendale, e questo accade anche nel nostro settore, infatti siamo al secondo posto, dietro solamente agli Stati Uniti, per numero di startup. Circa il 25% degli investimenti globali nel 2021 sono stati in Israele. Questo accade anche grazie al supporto del governo e all’Innovation Authority che spende circa un miliardo di euro ogni anno. Abbiamo inoltre ricevuto il supporto degli ultimi due governi. Ho incontrato Bennett in autunno, prima dell’incontro con il Presidente americano Joe Biden, auspico la nascita di accordi bilaterali in questo campo. E lo stesso mi auguro possa accadere con l’Italia, perché è un’opportunità che attualmente non viene utilizzata affatto.

     

    In che senso?

     

    In Israele siamo molto bravi con la ricerca accademica e l’innovazione, ma non abbiamo sufficiente tradizione culinaria e conoscenza nelle scienze dell’alimentazione. Sappiamo come fare la molecola, ma non come farle avere un buon sapore. L’Italia invece è uno degli ecosistemi culinari più avanzati al mondo e con una grande tradizione alle spalle, ma nel mondo del food tech è indietro e il governo non sta facendo nulla a riguardo, nonostante il vostro Paese abbia le capacità e un enorme potenziale. Questi accordi bilaterali sono un’opportunità da non lasciarci sfuggire.

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