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Ultimo numero Settembre – Ottobre 2024

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    In Israele fallisce il governo e si scioglie il parlamento. Ecco che cosa è successo e perché

    La caduta di Bennett

    Quasi esattamente un anno dopo la sua costituzione, il governo Bennett
    cade. Ieri sera Naftali Bennett e Yair Lapid hanno annunciato di voler andare a
    nuove elezioni, presentando loro la legge di scioglimento della Knesset che il
    sistema politico israeliano richiede per indire le elezioni, prima che possa
    farlo l’opposizione mercoledì come si proponeva. Sembra un gesto di orgoglio ma
    è in sostanza una resa. Se non ci saranno nuovi colpi di scena, Israele andrà
    alle quinte elezioni generali in tre anni e mezzo il 25 ottobre, dopo la
    conclusione del ciclo delle feste autunnali. Il governo di tutti, che doveva
    gestire il paese “unitariamente” non ha retto alle sue contraddizioni.

     

    Le cause prossime

    Si conclude così un mese di agonia fatta di sconfitte, di leggi non
    approvate al vaglio parlamentare, di nomine non ratificate, di parlamentari che
    sono usciti dalla maggioranza a destra e a sinistra. Il caso più importante è
    quello di una legge che dev’essere periodicamente approvata per estendere certi
    aspetti della legislazione israeliana ai territori di Giudea e Samaria. Era
    necessario votarla di nuovo entro giugno fra l’altro per permettere ai
    cittadini israeliani che vi abitano di avere la sicurezza sociale come tutti
    gli altri, per estendere loro la giurisdizione civile e poter arrestare secondo
    la legge israeliana i terroristi. Normalmente questa legge viene riapprovata
    senza problemi ogni cinque anni, ma questa volta la maggioranza conteneva
    partiti contrari ideologicamente al governo israeliano di Giudea e Samaria (gli
    arabi di Ra’am e gli ultrasinistri di Meretz). Mentre i loro dirigenti erano
    disposti a passare sopra le loro convinzioni pur di continuare a escludere la
    destra dal governo, alcuni loro parlamentari non erano disposti a rinunciare
    all’ideologia. Il governo sperava in un soccorso dell’opposizione di destra,
    che invece è d’accordo sulla logica della legge, ma naturalmente questa ha
    rifiutato di fare da stampella a un governo detestato e a un primo ministro
    considerato come un traditore della destra e non l’ha votata. Si è certificato
    così che la maggioranza non c’era più. Di fronte alla presentazione di una
    mozione di sfiducia nei prossimi giorni, i leader del governo hanno deciso di
    gettare la spugna.

     

    Le cause remote

    Questa vicenda è uno dei temi di divisione della maggioranza, importante e
    urgente; ma ve ne sono molti altri già emersi: le costruzioni negli
    insediamenti ebraici e i finanziamenti di quelli illegali dei beduini, la
    difesa dal terrorismo e l’atteggiamento verso l’Iran, l’economia e la
    religione, la giustizia e la politica estera. Cioè praticamente tutto. In
    realtà il governo Bennett è stato costituito mettendo assieme delle forze
    politiche che non erano d’accordo su niente, salvo che sul tentativo di tener
    lontano dal potere il leader più popolare del paese, cioè Bibi Netanyahu. Ma a
    un governo non basta occupare il potere, deve governare e cioè fare scelte. Ma
    su ogni scelta concreta, la maggioranza era destinata a dividersi, perché le
    convinzioni erano opposte.

     

    Che succede adesso

    Salvo improbabili colpi di scena (per esempio una mozione di sfiducia
    costruttiva che nomini un nuovo governo evitando le elezioni), prima di tutto
    scattano gli strani accordi di coalizione che hanno presieduto alla nascita del
    governo. In seguito a questi Bennett non gestirà l’ordinaria amministrazione
    nei quattro mesi fino alle elezioni (o più probabilmente sei fino alla
    costituzione del nuovo governo). Gli subentrerà subito Yair Lapid, come avrebbe
    dovuto fare comunque a metà legislatura se essa fosse durata. Sarà lui a
    incontrare Biden e a gestire le difficili condizioni di sicurezza di qui a
    ottobre (o a gennaio), inclusa la scelta se e quando attaccare gli impianti
    atomici iraniani. Ci sarà poi un gran balletto sulla presentazione delle liste
    elettorali: sia il partito di Bennett che quello di Saar, nell’ex maggioranza,
    rischiano di non superare la soglia del 3,5% necessaria per entrare al Knesset.
    E’ possibile che si uniscano, e così Meretz e i laburisti. Si dice anche che il
    partito di Bennett probabilmente si spacchi e che lo stesso leader non si
    candidi. I sondaggi assegnano una vittoria alla destra, ma forse non così
    amplia per costituire un governo senza i pezzi di destra transfughi (Bennett,
    Sa’ar, Lieberman). Insomma i giochi sono del tutto aperti. Nel frattempo è
    probabile che Lapid governi, senza maggioranza, secondo la sua ideologia di
    sinistra, mentre il paese è orientato al 60% almeno sulla destra.  C’è
    insomma il rischio di forti tensioni. L’ultimo tema da citare è quello della
    legge sulla Giudea e Samaria, che verrà automaticamente prorogata, essendo
    caduto il governo prima della sua scadenza.


    Il sistema politico israeliano è malato?

    Certamente sì, si tratta di una malattia comune a molti sistemi politici
    occidentali: come la Francia, che non ha al momento una maggioranza; l’Italia
    con un governo dalla maggioranza ampia e rissosissima; gli Usa col presidente
    meno popolare da decenni. Eccetera. Senza affrontare il grande problema della
    debolezza dei paesi democratici in questo periodo, bisogna dire che il sistema
    elettorale israeliano proporzionale puro, con una soglia d’accesso molto bassa,
    liste decise dai partiti, una forte frammentazione etnica e religiosa oltre che
    politica, una personalizzazione altrettanto forte della politica, la politicizzazione
    del sistema investigativo e giudiziario fa sì che lo stato ebraico sia
    particolarmente a rischio e rende molto difficile la costituzione di governi
    compatti ed efficienti. Comunque finisca questa nuova difficile prova della
    democrazia israeliana, è chiaro che una riforma istituzionale è necessaria. Ma
    bisogna aggiungere una cosa fondamentale: la democrazia israeliana è autentica,
    segue le regole della legge e la volontà dell’elettorato, conta le teste e non
    le taglia. Meglio troppe elezioni, come in questi anni, che nessuna, come
    avviene in quasi tutti i paesi del Medio Oriente (e purtroppo della maggior
    parte del mondo).

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