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    Il testo della lezione del Rabbino Capo d’Israele David Lau al Tempio Maggiore

    Onorevoli signori,

    Onorevole Rav HaRashi, capo della Comunità di Roma,

    Onorevole Presidente della Comunità,


    Prima di  tutto vorrei ringraziare i bambini che hanno cantato. Ho avuto un sentimento molto positivo sentendo la canzone. Grazie.

    Questo salmo, “Shir hama’lot. Beshuv H. Et shivat Zion Hayinu kecholmim” è un canto importante, che ha un racconto che lo spiega. 

    Siamo nel novembre 1947 e ci sono persone che ascoltano la decisione dell’ONU di fondare lo Stato d’Israele. Una di queste era un grande hazan, che era molto emozionato dalla notizia. E dunque cominciò a cantare questa melodia, con l’idea che eravamo come sognatori, come un sogno che si realizzava.


    Io non sapevo che avreste cantato questo salmo, questo canto così importante che mi ricorda quando domani sera ritornerò in questa terra che è stata la realizzazione di un sogno

    Per 17 volte nella Dichiarazione di indipendenza (dello Stato d’Israele ndr) compare l’espressione che viene fondato uno Stato Ebraico. In questi 75 anni di esistenza, più volte ci si è domandati che cosa significhi. Qual è il significato di uno Stato ebraico?

    Ci sono state diverse discussioni. A volte anche con espressioni intolleranti e volgari. Purtroppo non si può nascondere che a volte le discussioni, invece di essere sui principi, sono discussioni e contese sulle persone.


    È importante ricordare, proprio qui a Roma, che ha una comunità ebraica fondata dopo la distruzione del Bet HaMikdash, conseguenza di odio gratuito tra fratelli, che si può essere in disaccordo, che è bene discutere, ma che non si può mai oltrepassare il principio del rispetto e del riconoscimento dell’altro.


    Solo una settimana fa abbiamo festeggiato Purim. Nella storia di Purim sappiamo che c’è Aman che va dal re Achashverosh e gli dice che c’è un popolo, unico, che però è sparso, disperso e separato. Ha ragione a dire che è un popolo unico e unito. Dobbiamo fare in modo che non sia vera la seconda parte, ovvero che è un popolo separato e di contraddizione.

    Lui, afferma che eravamo un popolo disperso e sparso, ma poi dopo tre giorni riceve una risposta rispetto a questa sua affermazione. Ester domanda a Mordechai di riunire per tre giorni tutti gli ebrei per far digiuno e per pregare nonostante fosse la vigilia di Pesach. 


    Lei chiede di osservare questi tre giorni di digiuno, nonostante ci fosse ancora tempo rispetto alla “ghezerà” (decreto”) di Aman, che avrebbe dovuto portare alla distruzione del popolo di Israele. C’era tempo ancora dopo un mese, dopo due mesi, per fare questi tre giorni di digiuno, di preghiera. Ma Mordechai sa che la situazione è molto critica, c’è da agire immediatamente, quindi fa qualcosa di molto particolare. Dunque proclama, come fatto incredibile, un digiuno per tre giorni: il 14 il 15 e il 16 di Nissan. Quindi la vigilia di Pesach, il primo e il secondo giorno. Giorni dedicati al digiuno e alla preghiera.


    E fate attenzione, proprio quella sera nella quale noi abbiamo la mitzvah specifica di mangiare, in cui diciamo la berachà “Benedetto tu oh Signore che ci hai santificati con i tuoi precetti e ci hai comandato di mangiare”, Mordechai stabilisce che ci sarà digiuno e quindi si annulla la mitzvah. E dunque non ci si siede al tavolo, non si fa il Seder, ma si va al Bet HaKnesset per studiare e pregare. E questo non avviene solamente nel tempio maggiore della città di Susa, ma avviene in tutte le sinagoghe di tutte le 127 province del regno di Hachashverosh. In tutte non si fa il Seder, ma si prega e si studia.

    Quindi è vero, da una parte che il popolo ebraico era disperso e sparso in vari posti, però era unito nell’adeguarsi e adempiere a quella che era la decisione del leader del tempo, Mordechai.


    È vero che ogni comunità osserva i suoi minhaghim, ma nelle questioni fondamentali tutte si uniscono e si adeguano ad un comportamento, così come è avvenuto nel caso di Mordechai.


    Mordechai con la sua decisione in realtà smentisce Aman, ovvero dimostra che rispetto alle cose fondamentali e alle idee fondamentali tutti gli ebrei si uniscono adeguandosi ad un comportamento unico. C’è una sola Rabbanut. 


    Va riportato poi un altro episodio in relazione ad un chacham che voleva stabilire qualcosa. Gli altri chachamim gli hanno detto che solamente quando c’è una decisione unificata del Rav riconosciuto come tale, dell’unico Rav, allora ci si adegua tutti a questa decisione.


    Allora possiamo discutere, possiamo avere opinioni differenti. Israele è uno stato democratico, ma per quanto riguarda le questioni ebraiche ci deve essere una decisione unica e irrevocabile.


    Prendiamo l’esempio dei tefillin che sono sulla testa e sul braccio. Nei tefillin della testa, le quattro parashot sono separate, ciascuna ha una sezione diversa e ciascuna è una pergamena diversa. Nei tefillin del braccio il contenitore unico non è diviso in quattro parti e tutto è scritto in una unica pergamena. E allora potremmo dire che dal punto di vista del pensiero, rappresentato dai tefillin della testa, si può discutere, ci possono essere opinioni diverse, ma quando si passa all’azione, questa azione deve essere assolutamente unica, perché altrimenti saremmo per l’appunto un popolo disperso e separato. Nell’azione ci deve essere unità.


    Dunque si possono avere opinioni diverse in tanti ambiti. Nel Bet Din e nel Bet HaMidrash si discute: si può discutere della kasherut, si può discutere di ghiurim, si può discutere di diverse forme di rito. Qui c’è il rito Benè Romi, mentre io seguo il rito degli ebrei polacchi. Ma nelle questioni fondamentali, nelle questioni di sostanza non ci può essere divisione non ci può essere distinzione, deve essere possibile mantenersi sempre come un unico popolo in cui ciascuno possa sposare l’altro. Non è possibile che ci siano correnti diverse posizioni diverse, realtà diverse.


    E quindi il modo di percepire dell’ebraismo, delle cose che accadono, è quello che è stato ricevuto sul Sinai (con la Torah). È attraverso quella modalità che si analizzano tutte le realtà che emergono costantemente in ogni fenomeno. È attraverso quel parametro che chiunque arrivi qui, o arrivi in qualsiasi posto, si potrà riconoscere e potrà riconoscere in quelle che sono le caratteristiche dello Shabbat o del modo di mangiare, che è unificante rispetto a quei criteri che sono stati trasmessi dal Sinai in avanti.


    Tra tre settimane sarà la sera di Pesach e tutto il popolo ebraico si siederà al tavolo del Seder e racconterà la storia dell’uscita di ebrei dall’Egitto. Ci sono molte cose che facciamo durante quella sera e che sono sotto il segno del 4. Beviamo quattro coppe di vino, facciamo quattro domande, parliamo di quattro tipi di figli e anche altre cose che sono tutte sotto il segno del 4.

    E questo perché D. ha fatto quattro promesse prima che uscissimo dall’Egitto. Queste quattro espressioni sono: “Io vi farò uscire dall’Egitto, vi salverò dalla schiavitù, vi redimerò e vi porterò nella terra (d’Israele). E dunque, in corrispondenza di queste quattro promesse, beviamo quattro coppe di vino, ciascuna coppa in corrispondenza di una di queste promesse.


    C’è una halachà specifica che vorrei approfondire. Tra la prima coppa, che è quella che si beve al Kiddush, e la seconda, che si beve alla fine del racconto, è possibile interrompere. È possibile per esempio bere un bicchiere d’acqua. Tra la seconda, che si beve prima del pasto, e la terza coppa, che si beve alla Birchat HaMazon, è possibile interrompere. Ma tra la terza coppa  e la quarta, che si beve alla fine dell’hallel, è proibito interrompere. Non si può bere. Voglio approfondire e capire insieme a voi per quale ragione non si può interrompere tra la terza e la quarta coppa. 


    Le prime tre coppe sono in corrispondenza di “io vi farò uscire dall’Egitto, vi redimerò e vi salverò dalla loro schiavitù”. Tutte e tre hanno a che vedere con il principio dell’uscita dall’Egitto. La quarta coppa corrisponde invece alla promessa “Io vi prenderò per me come popolo”.


    E dunque le prime tre hanno a che vedere sul fatto che si esce dall’Egitto. Mentre la quarta coppa ha a che vedere col motivo per cui veniamo fatti uscire dall’Egitto. Il motivo per cui ci ha fatto uscire dall’Egitto è per essere presi come popolo da D., per essere il popolo di D. Dunque è possibile interrompere tra il “vi farò uscire”, “vi salverò” e “vi libererò” che sono relativi all’uscita dall’Egitto, e quindi sono tra di loro omogenei, ma non si può interrompere tra queste tre coppe e la quarta, che ci ricorda qual è il motivo per cui siamo usciti dall’Egitto, ovvero per diventare il popolo di D.


    Le parole di un grande di Israele: l’idea è che il popolo di Israele vive sulla Torah, sulla Torah orale e sulla Torah scritta. Sulla Torah orale che interpreta le parole della Torah scritta. E osservando lo Stato di Israele, possiamo dire che il motivo per cui abbiamo questo merito è di essere il popolo ebraico. E non siamo andati dietro ad altre ipotesi, possibili soluzioni che erano state prospettate. Siamo andati solamente verso l’idea di ritornare a Sion.

    Siamo fortunati di aver visto la realizzazione di questo sogno e di questa promessa e speriamo presto di poter vedere la realizzazione con i nostri occhi del ritorno del Signore a Gerusalemme. E in questa strada ritorneremo a confermare e a verificare la semplice verità: Am Israel Chai LeOlam Vaed. Il popolo di Israele vive per sempre.


    Foto di Ariel Nacamulli


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