Israele divide la politica italiana, Bibi Netanyahu ancora di più. L’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas e la successiva guerra a Gaza hanno catalizzato il mondo politico durante questo lungo anno. Dopo le prime reazioni, con la bandiera israeliana su Palazzo Chigi l’8 ottobre, il pogrom e gli ostaggi sono stati ben presto dimenticati e si è scatenata un’attenzione ossessiva verso lo Stato ebraico. Da sempre al fianco di Israele, la premier Giorgia Meloni ha confermato al premier Bibi Netanyahu il diritto all’autodifesa di Israele in una telefonata di luglio e ha auspicato che si giunga al più presto a un cessate il fuoco e al rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas. In un incontro con il presidente israeliano Isaac Herzog, in visita a Roma, Meloni ha ribadito gli stessi punti per lavorare “alla prospettiva di una soluzione a due Stati”.
Schierato con Israele, Matteo Salvini della Lega, artefice di una manifestazione pro-Israele a Milano nello scorso novembre. “Gli ultimi fascisti rimasti sono quelli che odiano Israele, nostalgici dell’odio e della paura – disse Salvini – Noi non abbiamo paura”.
Più sfumata e a tratti ambigua la posizione del ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani. “È l’ora del cessate il fuoco. Chiediamo con forza a Israele – che ha il diritto di difendersi– di interrompere attacchi che portano a un numero altissimo di vittime civili, il che è in contrasto con il diritto internazionale”, ha spiegato Tajani al Corriere della Sera in un’intervista ad agosto. L’Italia è pronta a offrire “le proprie forze per una missione di controllo della costruzione dello stato palestinese, guidata dai paesi arabi”, ha aggiunto Tajani. Una visione auspicabile, ma alquanto irrealistica.
Diversi i toni nel centrosinistra dove lo schieramento si posiziona su forti critiche a Israele e sul riconoscimento della Palestina. Nel PD si sono registrate le dimissioni del consigliere comunale di Milano, Daniel Nahum, che ha parlato di “deriva del partito dopo il 7 ottobre e delle reiterate accuse di ‘genocidio’ a Gaza”. Un termine, quello di “genocidio”, usato fino all’esasperazione in un pericoloso gioco di specchi per dare adito a paragoni impropri con la Shoah con un ribaltamento della realtà che associa Israele ai nazisti e che nasconde il seme dell’antisemitismo mascherato da antisionismo.
Nel PD la segretaria Elly Schlein ha chiesto al governo di riconoscere la Palestina come Stato come hanno fatto Spagna, Norvegia e Irlanda. Non mancano le critiche feroci contro Netanyahu, di cui Schlein chiede di “fermare la follia che sta facendo una ecatombe”. Ma già a marzo lo schieramento di centrosinistra era tutto contro Israele, senza mai o quasi una parola sugli ostaggi. In un’interrogazione a firma PD, M5S, AVS si chiedeva al governo italiano di fermare l’eventuale vendita di armi a Israele. Come se non si sapesse che esportiamo armi in tutto il mondo e, per quanto riguarda il Medio Oriente, la classifica vede in cima l’Arabia Saudita, seguita da Kuwait, Qatar, Emirati, Marocco, Egitto, Algeria e, soltanto all’ottavo posto, Israele. Dal Movimento Cinque Stelle sono arrivate, come al solito, soltanto critiche. Per Giuseppe Conte “l’azione di Israele è sproporzionata, Netanyahu, un premier eletto democraticamente, non può sottrarsi alle regole del diritto internazionale sui crimini di guerra”. E ad agosto, dopo il bombardamento di una scuola a Gaza usata come base dai terroristi di Hamas, Conte ha chiesto addirittura di richiamare l’ambasciatore italiano da Tel Aviv.
Ancora più feroci le posizioni di AVS, Alleanza Verdi e Sinistra, dove si sono accentuati i toni sul “genocidio in atto a Gaza”. Per Nicola Fratoianni, “Israele occupa illegalmente i territori palestinesi e il governo di ultradestra di Benjamin Netanyahu straccia il diritto internazionale e costantemente da molto tempo”. Mentre Angelo Bonelli si è unito ai Cinque Stelle chiedendo di richiamare l’ambasciatore.
Nei centristi, Carlo Calenda di Azione ha difeso Israele, ma attaccandone il premier. “I danni che Netanyahu ha fatto e continua a fare sono incalcolabili: non ha un progetto politico e con la sua leadership il rischio che il conflitto si espanda è concreto. La sicurezza di Israele dipende dal fatto che ci sia uno stato palestinese ben riconoscibile”. Più incisivo Matteo Renzi di Italia Viva: “Nessuno ha ammazzato tanti palestinesi quanto Hamas. Io sono perché Israele cambi primo ministro – dice Renzi – ma in Israele si può votare, a Gaza non possono”.
Conviene riagganciarsi a queste ultime parole di Renzi. In Israele si vota, è una democrazia e, per quanto possa stare più o meno simpatico Netanyahu, occorre ricordare che è stato votato dai cittadini come Giorgia Meloni o Emmanuel Macron. Ma nessuno si permetterebbe mai di dire che bisogna cambiare un primo ministro eletto dal popolo in uno Stato europeo. Questo accade sempre e soltanto per Israele, indipendentemente da chi governa.
Il conflitto visto dal Palazzo
La strage, gli ostaggi dimenticati e i giudizi sul governo israeliano