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    ISRAELE

    Gli sviluppi della guerra con Hezbollah

    Il conflitto al nord cresce
    Lentamente ma progressivamente, la guerra fra Israele e Hezbollah diventa più impegnativa, cresce il numero degli scambi e l’importanza degli obiettivi. Non si tratta più solo di scambi di missili e cannonate al confine, che continuano, e neppure di danni alle case dei villaggi di confine, che sono stati sfollati per evitare perdite umane. Dopo il colpo sul monte Meron, ieri un drone libanese è riuscito a penetrare in una importante base militare israeliana che ha sede a Safed (Tsfat) a oltre quindici chilometri dal confine. Il drone ha colpito innocuamente il parcheggio della base, ma si è trattato di un caso fortunato. Il colpo era mirato sulla base e c’erano le condizioni perché facesse danni gravi. Ciò sottolinea il fatto che Hezbollah, a differenza di Hamas, è in grado di mirare a installazioni militari importanti, oltre a colpire le case civili e le persone. Questa capacità è un indizio importante del carattere assai più pericoloso della guerra al nord che si profila. Anche Israele colpisce in profondità, sia le installazioni militari che i comandanti politici e militari del terrorismo, secondo una modalità d’azione molto sperimentata.

    L’eliminazione del capo delle truppe d’élite di Hezbollah
    Due giorni fa nel sud del Libano, nel villaggio di Khirnet Selm, a una ventina di chilometri dal confine, è stato ucciso Javad al-Tawil, un alto comandante delle forze di élite Radwan di Hezbollah, forse il loro nuovo capo sul terreno, non si capisce bene se da un drone o da una bomba. È un colpo importante paragonabile all’uccisione della settimana scorsa a Beirut del numero due di Hamas Salah al-Aaruri. Il terrorista ucciso, di cui sono state pubblicate foto con i principali capi dell’asse iraniano, è stato responsabile dell’imboscata del 7 ottobre 2000 sul Monte Dov, quando i genieri dell’esercito israeliano Adi Avitan, Benyamin Avraham e Omar Sawaed furono rapiti da Hezbollah e uccisi; i loro corpi furono restituiti a Israele in uno scambio di prigionieri. Al-Tawil era anche dietro l’uccisione e il rapimento dei soldati Ehud Goldwasser e Eldad Regev nel luglio 2006, un’operazione che portò Israele alla seconda guerra del Libano. È stato anche responsabile dell’attacco a Magiddo nel marzo 2023, quando un terrorista libanese si era infiltrato in Israele e aveva piazzato un esplosivo ferendo gravemente un guidatore israeliano.

    La rivendicazione
    In contrasto con la politica consueta di non confermare i colpi inferti ai nemici all’estero, ieri Israele ha confermato la propria responsabilità. “Per quanto riguarda l’attacco nel sud del Libano, ci siamo assunti la responsabilità dell’assassinio del comandante della Forza Radwan”, ha dichiarato il nuovo ministro degli esteri Israel Katz, aggiungendo “Fa parte della guerra. Israele è pronto ad operare in tutto il Libano e contro l’esercito libanese e Hezbollah”. Ieri vicino alla casa del fratello di Wissam Jawad a-Tawil, nello stesso villaggio dove era andato a rendere omaggio al caduto, è stato liquidato Ali Hussein Barji, comandante dell’aeronautica dell’organizzazione nel Libano meridionale e responsabile dei lanci di droni verso Israele, poi anche in Siria è stato liquidato il suo omologo, responsabile degli attacchi degli ultimi giorni. Hezbollah nel frattempo minaccia di estendere il conflitto colpendo le piattaforme di estrazione del gas di Israele in alto mare.

    Tunnel oltre la linea verde?
    Cambiando teatro di guerra, vi è allarme anche rispetto alla possibilità che i terroristi abbiano scavato dei tunnel oltre la linea verde che separa Israele dai territori amministrati dall’Autorità Palestinese. Gli abitanti di alcuni villaggi a ridosso della barriera di separazione hanno denunciato di avvertire suoni e vibrazioni che potrebbero venire da uno scavo. Insomma, forse vi sono dei tunnel che potrebbero essere usati dai terroristi per un attacco di sorpresa. L’esercito indagherà. Certamente l’autorità palestinese, responsabile della zona oltre alla linea verde di fronte a questi villaggi non fa nulla per impedire queste eventuali installazioni, non ha mai condannato il massacro del 7 ottobre. Anzi si è appreso di recente che ha deciso di pagare gli stipendi che dedica a tutti i terroristi incarcerati anche agli stragisti catturati da Israele e in generale ai prigionieri dei movimenti terroristi detenuti da Israele.

    Gli stipendi ai terroristi
    La stampa dell’Autorità Palestinese ha infatti informato qualche giorno fa che “i martiri, i feriti e i prigionieri” – i terroristi palestinesi o le loro famiglie, in altre parole – riceveranno i loro benefici di novembre a partire da sabato scorso tramite il servizio postale della Banca Palestinese. L’Autorità Palestinese è in crisi di bilancio, quindi questa volta i pagamenti saranno ad un tasso ridotto del 65%, più il 14% del denaro arretrato. Prima che i terroristi del 7 ottobre possano essere ricompensati, avverte il comunicato, le loro famiglie devono presentare i documenti comprovanti il loro “martirio” e una procura per aprire un conto in banca: la burocratizzazione del terrore. Secondo Itamar Marcus di Palestine Media Watch, le “famiglie dei martiri” ricevono in genere 1.400 shekel (quasi 400 dollari) al mese per tutta la vita. Gli stipendi dei prigionieri terroristi aumentano nel tempo, da 1.400 shekel a 12.000 shekel (3.300 dollari) al mese. Questo programma “paga per uccidere” costava fino al 7 ottobre più di 300 milioni di dollari all’anno, ovvero circa l’8% del budget dell’Autorità Palestinese. È probabile che questa voce di spesa sia destinata a crescere di molto, se non si riesce a far cessare questo scandalo, che fra l’altro rende l’Autorità Palestinese oggettivamente complice di tutta l’attività terroristica, anche quella compiuta da sigle che non ne fanno parte.

    La reazione israeliana
    Israele, che riscuote le entrate doganali per l’Autorità Palestinese, ci prova. Attualmente, per iniziativa del ministro della finanze Smotrich, trattiene il 30% delle quote doganali dovute in base agli accordi di Oslo: la percentuale che l’Autorità Palestinese invia a Gaza, in sostanza passandola ad Hamas. Mohamed Abbas, presidente a vita dell’Autorità, negazionista della Shoah e tenacemente contrario a condannare la strage del 7 ottobre, ha rifiutato di accettare la somma così rivista e il presidente americano Biden si è dichiarato insoddisfatto dell’impasse. Indiscrezioni di stampa hanno riferito la scorsa settimana che il disaccordo ha portato a “una delle conversazioni più difficili e ‘frustranti’ che Biden abbia avuto con Netanyahu”. Biden insiste affinché Israele consegni Gaza dopo la guerra all’Autorità Palestinese, promettendo che sarà “rivitalizzata”. Per questo promesso “rinnovamento” ritiene che abbia diritto al massimo delle sovvenzioni. Ma il denaro che gli Stati Uniti e anche l’Unione Europea vi versano finisce sempre per sovvenzionare il terrorismo – almeno per la parte che non viene assorbita dalla corruzione dominante a Ramallah.

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