Il nuovo primo ministro
Da oggi Yair Lapid è il primo
ministro di Israele – il quattordicesimo della serie iniziata il 14 maggio 1948
da David Ben Gurion – il primo da vent’anni a provenire da un ambiente di
centro-sinistra. Non è un premier nell’interezza dei suoi poteri, perché non ha
una maggioranza parlamentare, non guida un nuovo governo approvato dalla
Knesset e ha solo l’incarico del disbrigo degli affari correnti; ma nella
tradizione politica israeliana e soprattutto nel continuo stato di rischio in
cui lo stato ebraico vive dalla sua fondazione, il suo incarico e la sua
autorità sono comunque molto ampi, per certi versi più delle situazioni
normali, dato che non può essere sfiduciato.
Chi è Lapid
Yair Lapid è nato il 5 novembre
1963 a Tel Aviv. È sposato con la giornalista Lihi Lapid, ha tre figli e vive a
Ramat Aviv, un sobborgo elegante di Tel Aviv. A differenza dei suoi
predecessori Netanyahu e Bennett, non ha alle spalle un servizio militare di
grande prestigio. Prima della politica ha lavorato come giornalista e
conduttore televisivo. Dopo qualche esperienza in vari giornali, nel 1988 è
diventato direttore di un quotidiano locale di Tel Aviv del gruppo Yedioth
Ahronoth. La sua grande popolarità inizia però nel 1994 con la conduzione di un
talk-show sul primo canale della televisione israeliana, che va in onda ogni
venerdì. Poi conduce altri talk show sul secondo e terzo canale, pubblica
libri, partecipa a film e spettacoli, è insomma una star della comunicazione.
Nel 2012 annuncia l’intenzione di chiudere col mondo dello spettacolo e di
passare alla politica, fonda un partito intitolato Yesh Atid (“Il futuro c’è”)
e ottiene un notevole successo alle elezioni del 2013, con 19 seggi. Diventa
ministro delle finanze del governo presieduto da Netanyahu, poi si dimette dopo
un anno e mezzo per dissensi sui rapporti con i gruppi religiosi, e sta
all’opposizione dei suoi governi successivi, sempre ottenendo risultati buoni
ma non decisivi alle elezioni che si succedono: intorno al 15% dei voti, che i
sondaggi gli attribuiscono anche per le prossime elezioni. Il suo partito da
allora è quasi sempre il secondo per dimensioni della Knesset e il primo dello
schieramento di sinistra.
Il padre
La carriera di Lapid ha seguito
molto da vicino quella del padre Tommy, sopravvissuto alla Shoà in Serbia e
immigrato in Israele nel 1948. Tommy Lapid è stato prima giornalista di
successo e poi leader di un partito laicista di centro-sinistra, Shinuy (cambiamento),
che ebbe un successo effimero ma consistente, fino a consentirgli di divenire
vice primo ministro e ministro della giustizia nel governo costituito da Ariel
Sharon nel 1999, salvo poi lasciare il governo nel 2004 e sciogliersi
rapidamente. Tommy Lapid è scomparso nel 2008
L’ideologia
Yair Lapid, da quando ha fondato
Yesh Atid, è diventato il leader di fatto dello schieramento di sinistra.
Rispetto ai partiti laburisti che hanno guidato Israele nella prima fase della
sua storia, però, il suo non è un partito socialista, non ha un atteggiamento
ideologico anticapitalista. E non è neanche l’espressione più decisa del
cosiddetto “campo della pace”, non condivide gli estremismi pro-palestinisti
che oggi si ritrovano soprattutto nella sinistra dura e pura di Meretz. Il suo
è un atteggiamento pragmatico, attento ai diritti civili, laicista, molto
sensibile al rapporto con i democratici americani, molto poco empatico nei
rapporti con gli israeliani che vivono in Giudea e Samaria. Il passaggio della
leadership della sinistra dai laburisti a un partito “liquido”, pragmatico e di
debole formazione ideologica come Yesh Atid è un cambiamento epocale. Il modo
di far politica di Lapid corrisponde al modo di sentire cosmopolita e
consumista della sua origine sociale e geografica nella borghesia delle
professioni di Tel Aviv. Uomo educato, civile, di bell’aspetto, dall’eleganza
sportiva con ottima capacità di comunicazione e conoscenza del mondo, Lapid
corrisponde anche al gusto di questa parte minoritaria ma molto attiva della
società israeliana.
Le ragioni del successo
Il suo incarico attuale non
deriva dalla prevalenza delle sue posizioni nell’elettorato israeliano, ma
dall’aver utilizzato abilmente il rancore di una parte del mondo politico e
giudiziario nei confronti del leader che resta di gran lunga il più popolare
nel paese, Bibi Netanyahu. Il suo capolavoro è stato il governo appena
sconfitto, in cui ha saputo mettere assieme elementi di destra e di sinistra
anche estrema, islamisti e nazionalisti ebraici, su un programma limitato ma
concreto, al cui centro vi era la scelta di escludere a qualunque costo
Netanyahu dal potere. Per realizzarlo Lapid ha anche rinunciato al ruolo di
primo ministro, lasciandolo a Bennett, leader di un partito che ha quattro volte
meno deputati di lui, col patto di rotazione che ora è stato attuato. Si è
trattato di una manovra spericolata, senza principi comuni, che si è logorata
presto nelle tensioni della maggioranza. Il nuovo scioglimento della Knesset,
il quinto in quattro anni, mostra che l’instabilità politica israeliana non
dipende solo dal predominio di Netanyahu.
Il futuro
Non sappiamo cosa farà Lapid come
primo ministro, anche se è chiaro che sarà più propenso ad accontentare il
potente alleato americano nella sua spinta a riprendere la vecchia strada delle
infinite trattative con l’Autorità Palestinese di quanto lo fosse Bennett e a
maggior ragione Netanyahu. Non sappiamo neanche che piani abbia Lapid per le
alleanze nelle prossime elezioni e per la costituzione del nuovo governo. Il
pragmatismo e la capacità di compromesso sono certamente la sua forza, ma anche
il limite della sua leadership.