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    Accordo storico tra Israele e Libano sulla spartizione del gas

    Non è un muro sulla terra ferma a delimitare il confine tra due stati ancora formalmente in guerra. Adesso però una frontiera c’è, ed è tratteggiata da una linea di boe gialle nelle acque del bacino orientale del Mediterraneo, tra il nord di Israele e il sud del Libano.

    Dopo aver twittato quasi all’unisono, due settimane fa, l’annuncio dell’accordo, il presidente libanese Michel Aoun a Beirut e il premier israeliano Yair Lapid a Gerusalemme hanno firmato ieri il documento che stabilisce per la prima volta il confine marittimo tra il Paese dei Cedri e lo Stato Ebraico. Un risultato storico, raggiunto dopo un decennio di negoziati. La svolta verso la concretezza si è vista negli ultimi mesi, nel corso di colloqui indiretti condotti grazie alla perseveranza del mediatore statunitense Amos Hochstein, inviato USA per gli affari energetici.

    La risoluzione è basata sulla necessità di regolare lo sfruttamento delle risorse di gas naturale, abbondanti sotto la superficie del Mediterraneo in quella zona. La sua importanza va ben oltre le implicazioni economiche, che, pure, sono estremamente rilevanti, anche per l’Europa.

    Il “risultato politico” che il premier israeliano Yair Lapid incassa, a pochi giorni dal voto, come un successo è stato sottolineato nella dichiarazione che “non capita tutti i giorni che uno stato nemico riconosca lo Stato di Israele, in un patto scritto, di fronte all’intera comunità internazionale”. 

    “Si tratta di un accordo storico che rafforza la sicurezza e l’economia israeliana e porterà stabilità nella regione, che era l’obiettivo numero uno dell’intera faccenda”, ha poi aggiunto in serata il capo dell’esecutivo israeliano in un incontro alla Kirya di Tel Aviv, con il mediatore Hochstein.

    Beirut invece cerca di evitare di inquadrare l’accordo come una normalizzazione con Israele, insistendo sul fatto che si tratti di questioni “tecniche”. Fatto sta che il principale negoziatore libanese Elias Bou Saab ha affermato che, con la fine della lunga disputa, è iniziata una “nuova era”. Il momento più vicino a un primo passo verso potenziali future relazioni diplomatiche è stata la cerimonia presso la base delle Nazioni Unite a Naqoura, alla presenza della squadra negoziale israeliana e delle delegazioni libanese, statunitense e ONU. 

    Frederic C. Hof, che è stato il primo inviato USA per i colloqui marittimi tra Israele e Libano, accoglie il patto siglato come la chiave per sminare la possibilità di una guerra in mare tra Israele e Libano. “L’accordo – ha commentato durante un briefing per la stampa organizzato dalla Ong Media Central – ha rappresentato per il Libano una grande sfida politica. I proventi della vendita di gas naturale non si vedranno prima di cinque anni. E molti libanesi temono che queste entrate finiranno nelle tasche di una classe politica corrotta, protetta da Hezbollah. Il popolo libanese necessita di un sistema politico caratterizzato dallo stato di diritto, dalla trasparenza e dalla credibilità. E questo, come minimo, sarà un test molto difficile.” Hof aveva inizialmente espresso forti dubbi sulla possibilità che l’accordo potesse rappresentare il primo passo verso una normalizzazione tra Israele e Libano ma adesso sostiene di non esserne più così sicuro. “Mi sento più aperto alla possibilità di futuri passi, ad un certo punto nel futuro – dice apertamente – . Mai prima d’ora il Libano aveva riconosciuto la legittimità del suo vicino a sud. Ora che la frontiera marittima tra Israele e Libano c’è ed è accettata e riconosciuta ufficialmente, perché non provare ad avanzare un negoziato su un confine terrestre? Magari ancora con l’aiuto di un mediatore statunitense.” Tuttavia, ha rimarcato il diplomatico USA, il messaggio televisivo rilasciato dal presidente Aoun al popolo libanese, un endorsement a Hezbollah, non è stata un’uscita pubblica felice. “Allo stesso modo ritengo non sia d’aiuto il giudizio di alcuni politici israeliani che accusano il governo di Israele di aver ceduto alla pressione di Hezbollah”, ha concluso.

    Un filo di ottimismo l’ha espresso anche Giora Eiland, ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano e ricercatore associato presso l’Institute for National Security Studies (INSS). Secondo lui, pur essendo “molto scarse” le possibilità che questa storica risoluzione sia l’inizio di un percorso verso la normalizzazione, non esclude che possano seguire ulteriori disposizioni economiche. “Dal giorno della devastante esplosione al porto di Beirut – ha fatto presente Eiland – oltre ai problemi già esistenti, si sono aggiunte le difficoltà, per il Libano, di importare beni di prima necessità. Il porto di Haifa invece può soddisfare ben oltre le necessità di Israele. In altre parole, possiamo importare merci a Haifa e poi trasportarle in Libano, in appena un’ora di strada. Non sto dicendo che succederà domani – ha ribadito – ma se gli Usa o la Francia iniziassero qualche mediazione in questa direzione, non credo che, senza interferire con il riconoscimento politico reciproco, Israele si tirerebbe indietro.”

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