I Chabad sono dappertutto, dal Nepal al Perù; fra pochissimo saranno anche nel Metaverso. Ma che cos’è il Metaverso? E perché costruire un centro Chabad nel Metaverso? Il progetto nasce dalla fantasia di Rav Shmuli Nachlas, rabbino Chabad a Toronto, dove gestisce insieme alla moglie Chani un centro giovanile ebraico che organizza attività educative e creative, come coinvolgere gli stessi ragazzi nella progettazione di un nuovo edificio a misura delle loro esigenze e gusti.
Ancora non si sa con precisione come sarà il Metaverso, che aspira a diventare un mondo parallelo che coinvolge diverse tecnologie, tra cui la realtà virtuale, che consentono agli utenti di interagire in un mondo virtuale. «Vogliamo metterci lì, impegnarci, iniziare qualcosa e crescerci insieme» spiega Rav Nachlas.
«Penso che per capire meglio cosa sia il Metaverso possa aiutare immaginare di tornare agli anni ’90 e raccontare che in futuro si potrà guardare al cellulare che cosa abbiano mangiato gli altri a pranzo oggi e che si trascorreranno 3/4/5 ore sui social media. Le persone ti avrebbero probabilmente presa per matta anche nel 2000! Ecco, il Metaverso è un’esperienza sociale più coinvolgente, fondata sulla realtà».
In futuro sarà possibile indossare un visore e partecipare dalla propria casa alle attività del centro “MANA”, già in costruzione sul terreno acquistato con criptovalute sulla piattaforma Decentraland. Per il momento c’è solo un cantiere su cui sono stati posizionati cartelli segnaletici e coni stradali che suggeriscono che i lavori sono ancora in corso. Anche se è ancora ad uno stadio embrionale, il centro già presenta alcuni caratteri fortemente ebraici: «Da migliaia di anni, la tradizione ebraica prevede che quando nasce una nuova comunità in un luogo nuovo, la prima cosa che si fa è costruire un mikve. Ovviamente nel Metaverso il mikve non serve, ma ho comunque messo uno stagno di acqua sul terreno» racconta Rav Nachlas.
Ciò che conta è come verrà usato questo nuovo strumento: «Lì ci sono già persone ebree che stanno cercando di capire come funziona, che fanno affari o che socializzano. Penso che il Metaverso sia un’opportunità per insegnare, guidarli, aiutarli con la religione e la spiritualità, così come si fa già su altre piattaforme».
Non mancano potenziali difficoltà: come assicurarsi, ad esempio, che non si possa partecipare alle attività di Shabbat tenendo in considerazione i diversi fusi orari dei luoghi da cui accederanno gli utenti. Rav Nachlas e il suo team sono sicuri che si possano trovare soluzioni grazie all’esperienza già acquisita su internet, come bloccare la chat qualora l’utente stia attivo in un paese dove Shabbat non è ancora finito.
E le mitzvot? Avranno valore? Si dovrà dire l’apposita preghiera prima di lavarsi le mani nel mondo virtuale? Rav Nachlas spiega che durante la pandemia sono stati affrontati temi analoghi riguardanti la vita ebraica online. «Con internet si può fare molto per aiutare le persone» sottolinea. Nel Metaverso si potranno dire benedizioni mentre si mangia o si beve un caffè insieme nella realtà virtuale, si potranno dire preghiere, si potrà spiegare come mettere i tefillin. Tuttavia, spiega Rav Nachlas, «le mitzvot stesse dovranno continuare ad essere fisicamente ancorate al mondo reale»: ad esempio a Sukkot non si potranno impugnare e scuotere il lulav o l’etrog attraverso una icona virtuale, ma sarà necessario farlo nella vita reale.
Il progetto canadese ha catturato l’attenzione delle comunità ebraiche del mondo. A Roma, Rav Zalmen, spiega che «nel Metaverso gli ebrei italiani potranno scoprire comunità diverse, dove l’ebraismo e il mondo giovanile del popolo ebraico si riuniscono avvicinandosi alle pratiche, alla mentalità ebraica e alle tradizioni che ci hanno da sempre uniti e da sempre dato una sensazione speciale di far tutti parte di una grande famiglia. Da oggi anche da tutto il mondo ci potremo incontrare tutti in una stanza del nuovo bet Chabad del Metaverso».