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    YOM HA-SHOAH NELLO STATO D’ECCEZIONE

    Il blocco imposto ai viaggi internazionali come anche agli spostamenti interni in moltissimi paesi condiziona naturalmente in questi mesi la celebrazione di anniversari e ricorrenze. Cerimonie e pubbliche manifestazioni che implicano assembramenti a distanza ravvicinata non sono consentiti. Neppure è possibile riunirsi nelle proprietà private. Hanno fatto il giro del mondo le immagini delle proteste in Piazza Rabin a Tel Aviv con centinaia di uomini e donne distanziati dalle strisce ben visibili sulla pavimentazione. La capacità ebraica di impegnarsi nelle discussioni, ad ogni costo, ha reso praticabile e sostenibile per l’evento una disciplina rigidissima. Forse soltanto in Israele i contestatori sono in grado di rispettare in massa le regole. 

    Sono trascorsi 75 anni dalla distruzione del Terzo Reich, che Hitler voleva millenario. Il 25 aprile italiano e il Victory Day Europe nel prossimo 8 maggio troveranno una corrispondenza virtuale sugli schermi di computer e tv. Perfino Vladimir Putin ha dovuto annullare la tradizionale parata militare che ogni anno ricorda al mondo il costo in vite umane pagato dall’Unione Sovietica, fino alla resa incondizionata della Germania. Gli ultimi veterani che hanno combattuto nelle armate degli Alleati saranno onorati soltanto con le telecamere. 

    Yom ha-Shoah del 27 nissan (che corrisponde quest’anno al 21 aprile) non poteva certo sfuggire alla regola. Si comprendono bene la tristezza e l’amarezza dei sopravvissuti. A maggior ragione, chi è nato dopo deve trovare nella storia della propria vita il senso profondo degli eventi che hanno permesso all’umanità di sfuggire alla maledizione nazifascista. Fermiamoci e studiamo. Quest’anno, in silenzio e lontano dalle casse di risonanza mediatiche, si troveranno forse momenti di meditazione vera. Inoltre potremo trasformare queste pause forzate, nel tempo di covid19, in momenti utili per fare chiarezza su molte banalità arrivate anche ai piani alti della cultura e della politica. Lo Stato di Israele iniziò presto a misurarsi con il ricordo della distruzione fisica dell’ebraismo nell’Europa occupata dalle armate naziste durante la Seconda guerra mondiale. Già sul finire del 1949 il rabbinato indicò il giorno 10 del mese di tevet, ricorrenza di espiazione e digiuno nel calendario liturgico, per la memoria collettiva di sei milioni di vittime. Era, per la precisione, il 28 dicembre. Quel giorno stesso furono sepolte in un cimitero di Gerusalemme ossa e ceneri di migliaia di ebrei assassinati nel campo di concentramento di Flossenburg e là prelevate. Il 3 maggio del1951/27 nissan 5711, su delibera della Knesset, lo Stato di Israele tutto si raccolse spiritualmente per la prima volta sul Monte Sion, in memoria dei fratelli uccisi in Europa. E infine il parlamento, l’8 aprile del 1959, regolò per legge la ricorrenza. Yad Vashem fu fondato nel 1953. Non corrisponde dunque alla realtà storica e al succedersi effettivo degli eventi il luogo comune che vorrebbe il processo del 1961 contro Adolf Eichmann un evento mediatico, uso la terminologia attuale, organizzato dal governo allora presieduto da David Ben Gurion. Con l’obiettivo non dichiarato, così molti tuttora sostengono, di riconciliare il movimento sionista e i sabra (gli ebrei israeliani) con la memoria degli ebrei massacrati. Ma se esisteva un obiettivo di questa natura va piuttosto individuato nella volontà di chiudere anche simbolicamente il contenzioso con la Germania (quella federale d’occidente negli anni della guerra fredda) e avviare regolari relazioni diplomatiche. Ci si può domandare cosa implichi il coronavirus per la memoria storica della Shoah. Ebbene, si è aperto in Italia un dibattito tra giuristi, costituzionalisti, giornalisti, associazioni per la tutela delle libertà individuali e profeti di sciagure. Queste discussioni riguardano non soltanto la prassi nell’applicazione dei provvedimenti restrittivi, bensì anche elementi complessi di filosofia del diritto. Alcuni hanno evocato la sussistenza attuale di un cosiddetto “stato d’eccezione” che si affiancherebbe allo stato di emergenza. Ci sono contestatori e sostenitori. Ma la Repubblica Italiana è attualmente impegnata in una partita molto dura, è in gioco la sopravvivenza sociale ed economica del nostro paese. Il governo e i corpi armati della Repubblica, con il Presidente del Consiglio dei ministri e il parlamento, operano nella piena legittimità garantita dalla Costituzione democratica e frutto di libere elezioni ordinatamente effettuate. Occorre cautela nell’uso dei termini. Il concetto stesso di stato d’eccezione fu elaborato sotto il profilo giuridico da Carl Schmitt, quasi un secolo fa. Non fu processato a Norimberga. Non riteneva di doversi pentire. A lui si devono i fondamenti della legislazione in vigore nella Germania nazista, e la dottrina del potere assoluto di Adolf Hitler. Fino alla soluzione finale della questione ebraica, come i nazisti definirono la Shoah. Il presente è difficile. Non evochiamo incubi dal passato.

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