Tra gli orrori del pogrom del 7 ottobre, filmati
dagli stessi terroristi, c’è un video che mostra una ragazza rapita, stuprata e
ferita, portata a Gaza ed esibita come un trofeo sotto gli sguardi compiaciuti
di una folla di uomini e donne (e nel silenzio successivo di tante
organizzazioni femministe per le quali evidentemente non tutti gli stupri e i
femminicidi meritano uguale riprovazione). Si provi a chiedere a questa
ragazza, ammesso che sia sopravvissuta, o a qualcuno dei suoi famigliari, se
sia disposta a perdonare fino a settanta volte i suoi violentatori o se provi
amore per i suoi nemici, che finora non sembrano aver dato alcun segno di
ravvedimento. Il buon senso elementare ci dovrebbe fare astenere da certe
domande.
Eppure lo spettro di queste domande, e ciò che c’è dietro, aleggia in
questi giorni di preoccupazioni, per molti, e di giudizi solenni da altre
parti. È il tentativo di inquadrare, spiegare, giudicare il conflitto in corso
(come è già successo tante volte in passato) con le categorie teologiche.
Quelle, per esser chiari, che attribuiscono all’ebraismo una natura senza
amore, giustizialista e vendicativa.
È una vecchia storia, che nasce con la
separazione del cristianesimo dalla radice ebraica. Ebraismo e cristianesimo
hanno radici comuni e tante cose condivise, ma anche tante differenze. Nel
desiderio di distaccarsi dalla matrice ebraica è stato costruito un sistema
oppositorio: c’è un Dio della giustizia e della vendetta, quello del cosiddetto
’Antico Testamento’ (e già chiamare così la Bibbia ebraica è un modo ostile) e
un Dio dell’amore, quello del Vangelo. Per gli ebrei c’è la legge del taglione
(“occhio per occhio” ecc.) per i cristiani quella del perdono. Gli ebrei
adorano un Dio cattivo, i cristiani un Dio buono. Gli ebrei sono pertanto
cattivi per natura e cultura, i cristiani sono buoni.
Tutto questo è un’idea
malsana, sbagliata teologicamente, condannata anche dal pensiero recente delle
Chiese. Il Dio della Bibbia ebraica, come quello dei Vangeli, è sempre lo
stesso e non è cambiato, è di giustizia e di amore. Chi sostiene queste
contrapposizioni tra l’altro ignora l’elaborazione rabbinica su questi temi, a
cominciare proprio dell’interpretazione del taglione che non è mai stato
mutilazione ma sanzione pecuniaria. Tuttavia, sostenere la contrapposizione
(che tecnicamente si chiama marcionismo, dal nome dell’eretico Marcione che la
elaborò) è funzionale per dimostrare la propria superiorità, per insegnare il
disprezzo dell’ebraismo e per trasformare la vittima, se non se la sente di
perdonare o amare il suo nemico, o chiede giustizia, in un colpevole lei
stessa.
È stato detto anche in trasmissioni televisive che il cristianesimo è
l’unica religione in cui si comanda di amare i nemici. Forse è vero, ma di
sicuro è anche vero che il precetto non è mai stato applicato da chi doveva
seguirlo, se non a livello eroico di singoli, certo no dai popoli cristiani in
guerra e dai loro capi spirituali. Se c’è una cosa da evitare oggi, è il
meccanismo perverso di rispolverare categorie teologiche che dicono di
predicare l’amore ma di fatto sono portatrici di ostilità. Si chiama
marcionismo, è antigiudaismo.