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    Ricordare la Shoah significa vigilare sull’antisemitismo

    Domani è la giornata della memoria, il settantacinquesimo anniversario della caduta dei cancelli di Auschwitz. La ricorrenza è stata celebrata con grande solennità a Gerusalemme alla presenza di una sessantina di capi di stato e di governo, fra cui Putin, Macron, il presidente tedesco e il nostro Mattarella: una riunione che ha anche il senso di riconoscere che lo Stato di Israele è oggi la difesa sicura contro l’antisemitismo. Ciò non significa affatto che la costituzione dello stato sia stata concessa come risarcimento della Shoà, come pretendono gli antisionisti: la decisione della Società delle Nazioni (l’Onu del tempo) che istituiva il mandato britannico allo scopo di “favorire l’insediamento ebraico” e di “costituire una sede nazionale (a national home) per il popolo ebraico” precede di una dozzina d’anni la presa del potere dei nazisti. La ragione dell’insediamento ebraico in Terra di Israele risale ai tempi biblici e non è mai venuta meno da 35 secoli. L’esilio imposto dai romani a buona parte del popolo ha impedito però per un tempo lunghissimo agli ebrei di sottrarsi alle persecuzioni, non solo quelle naziste, ma anche quelle sanguinose dell’Europa cristiana, durate almeno mille anni, e a quelle altrettanto lunghe e dolorose del mondo musulmano. Ricordare la Shoà, il grande massacro compiuto negli stati di tutta Europa su cittadini come gli altri solo perché ebrei,  oggi per l’Europa vuol dire vigilare contro l’antisemitismo che rinasce e non solo nell’estrema destra, ma anche a sinistra e fra gli immigrati musulmani. Agli ebrei richiede di sapere che possono essere sicuri solo contando su se stessi e anche per questo hanno bisogno di uno stato loro che li difenda.

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