La parashà inizia con queste parole: “Moshè convocò tutta la radunanza dei figli d’Israele, e disse loro: Queste sono le cose che l’Eterno ha ordinato di fare. Sei giorni si lavorerà, ma il settimo giorno sarà per voi un giorno santo, un sabato di solenne riposo, consacrato all’Eterno” (Shemòt, 35: 1-2).
R. Shelomò Ohev di Ragusa in Dalmazia (XVI sec. E.V.) nella sua opera Shèmen Hatòv sulle parashòt della Torà chiede per quale motivo nel primo versetto della parashà è scritto “Queste sono le cose che l’Eterno ha ordinato di fare”. Se il versetto intende parlare dell’osservanza dello Shabbàt era più appropriato che fosse scritto “Queste sono le cose che l’Eterno ha ordinato di non fare”. Infatti l’osservanza dello Shabbàt viene fatta astenendosi da certe attività che svolgiamo durante la settimana.
E non appare che il versetto intenda parlare della costruzione del Mishkàn, perché di questo si tratta nei versetti successivi dove è scritto “Poi Moshè parlò a tutta la raunanza dei figli d’Israele, e disse: Questo è quello che l’Eterno ha ordinato: Prelevate da quello che avete, un’offerta all’Eterno; chiunque è di cuor volenteroso recherà un’offerta all’Eterno: oro, argento, rame; stoffe di color violaceo, porporino, scarlatto, lino fino, pel di capra” […].
Per rispondere alla sua domanda R. Ohev cita l’opera Divrè Shelomò di R. Shelomò Ha-Levi (Salonicco, 1532-1600?) che afferma che quello che l’Eterno ha ordinato di fare è di radunare il pubblico ogni Shabbàt e fare sì che vengano ad ascoltare discorsi di argomenti di Torà così come fece Moshè dando loro istruzioni su come osservare lo Shabbàt.
R. Ohev aggiunge che la Torà vuole insegnare agli israeliti di essere uniti nel servire il Signore e non che ognuno vada per la sua strada e dica “Pace all’anima mia”. Per questo è scritto che Moshè radunò tutta la comunità d’Israele e disse loro che “si lavorerà per sei giorni della settimana e il settimo giorno, lo Shabbàt, sarà un giorno di solenne riposo”. Se per motivi economici nei giorni lavorativi ogni persona deve operare in modo diverso per mantenere la famiglia e perciò non è possibile essere uniti, almeno di Shabbàt che è un giorno consacrato al riposo ed è proibito fare melakhòt, è opportuno occuparsi insieme di argomenti di Torà e non di altre cose.
Un simile commento appare anche nell’opera Siftè Kohen di R. Mordekhai Ha-Kohen (Safed, 1523-1598, Aleppo). L’autore commenta che il Santo Benedetto disse a Moshè di radunare un grande pubblico per insegnare loro le regole dello Shabbàt. In questo modo impareranno anche le generazioni future a fare lo stesso e a insegnare ciò che è permesso e ciò che è proibito. Da qui i maestri insegnarono che Moshè istituì che di Pèsach venissero insegnate le halakhòt di Pèsach e così per ogni altra festività. E nel versetto è scritto “di fare” perché le cose non vengono fatte da sole e quindi ogni comunità deve nominare un rav che insegni la Torà al pubblico. E per questo nel versetto è usata l’espressione “tutta la radunanza” per insegnare che anche le donne sono incluse nella mitzvà di imparare quello che è permesso e quello che è proibito, specialmente le mitzvòt che riguardano loro. E in questo versetto sono inclusi anche i bambini in modo che fin da piccoli si abituino a venire nel bet ha-kenèsset.