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SPECIALE PESACH 5784

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    Parashà di Vayèshev: Perché Yosèf insistette nel raccontare i suoi sogni?

    R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) nel suo commento alla Torà afferma che Yosèf, nonostante fosse l’undicesimo fratello, istruiva i fratelli maggiori su come prendersi cura del gregge. È poiché era solo un ragazzo di diciassette anni, anche se era il più intelligente di tutti, peccò nel raccontare al padre gli errori dei fratelli e poi i suoi sogni. La sua mancanza di esperienza fece sì che non si rese conto delle conseguenze delle sue parole. 

                Il padre Ya’akòv lo favoriva apertamente per via della sua evidente superiorità. E poiché era figlio della sua amata moglie Rachele, Ya’akòv lo amava più di tutti gli altri figli. E poi fece per lui una tunica multicolore (Bereshìt, 37: 3). R. Sforno commenta che la tunica era  un segno che sarebbe stato il leader sia del casato sia nella conduzione degli affari della famiglia.

                RShlomò Efraim Luntschitz (Polonia, 1550-1619, Praga) nel commento Kelì Yakàr scrive che quando il primogenito Reuven, primo figlio di Lea, si era rovinato la reputazione con il padre (ibid., 35:22), Ya’akòv elevò Yosèf, primo figlio di Rachele, allo stato di primogenito. La tunica era un simbolo della nuova posizione nella famiglia.        

                Fu allora che Yosèf ebbe un primo sogno che raccontò ai fratelli: “Egli disse loro: udite, vi prego, il sogno che ho fatto. Noi stavamo legando dei covoni in mezzo ai campi, quando il mio covone si alzava e si ergeva dritto; ed ecco i vostri covoni si facevano intorno al mio covone, e gli si prostravano. Allora i suoi fratelli gli dissero: dovrai tu dunque regnare su noi? o dominarci? E l’odiarono più che mai a motivo dei suoi sogni e delle sue parole” (ibid. 37:6-8)

                Poi venne il secondo sogno:  “Ed ecco che il sole, la luna e undici stelle mi s’inchinavano dinanzi. Egli lo raccontò a suo padre e ai suoi fratelli; e suo padre lo sgridò, e gli disse: che significa questo sogno che hai avuto? Dovremo dunque io e tua madre e i tuoi fratelli venir proprio a inchinarci davanti a te fino a terra? E i suoi fratelli gli portavano invidia, ma suo padre conservò memoria del fatto” (ibid., 37:9-11).

                R. Meir Simcha Hakohen,(Lituania, 1843-1926, Lettonia) rav di Dvinsk, nel suo commento Meshekh Chokhmà, al contrario di rav Sforno, offre una spiegazione che mette in una luce più positiva le azioni di Yosèf. Egli fa notare che l’espressione “udite vi prego” (Shim’ù na) è usata dai profeti quando vogliono ammonire il popolo. Yosèf, con queste parole, voleva dire loro: “Perché continuate ad avermi in astio? Il mio sogno mette in evidenza che sono destinato a comandare. Se non accettate questa situazione di buon cuore lo dovrete fare forzatamente”.  E questo è il motivo per cui raccontò ai fratelli anche il secondo sogno. Altrimenti dopo aver visto la reazione dei fratelli al primo sogno sarebbe stata follia continuare a raccontare. Dopo il secondo sogno Yosèf cercò di moderare il loro astio e la loro gelosia affermando che il suo futuro dominio su di loro non era mancanza di rispetto così come non avrebbe mai mancato di rispetto per il padre. I sogni erano messaggi divini di quello che sarebbe avvenuto nel futuro.  

                

    (L’illustrazione de “Il sogno dei manipoli (i covoni) di Giuseppe” è di uno degli arazzi del Bronzino, 1549,  dalla collezione al Palazzo Vecchio di Firenze).  

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