In questa parashà è raccontato che Yitzchàk fu costretto ad uscire dalla terra di Canaan a causa di una carestia, la seconda dopo quella ai tempi di Avraham. Yitzchàk pensò di andare in Egitto, ma l’Eterno gli disse di fermarsi a Gheràr nel territorio dei filistei. Nonostante la scarsità dell’annata, Yitzchàk prosperò e si arricchì con greggi, mandrie e raccolti della terra. I filistei lo invidiarono e il re Avimèlekh disse a Yitzchàk di andare via da Gheràr perché era diventato troppo ricco e potente (Bereshìt, 26: 12-17). Yitzchàk si trasferì a Beer Sheva’.
Successivamente il re Avimèlekh lo andò a trovare con il suo entourage e con Pikhòl, capo del suo esercito. Yitzchàk disse loro: “Perché siete venuti da me? Voi mi odiate e mi avete mandato via da voi. E quelli risposero: Abbiamo visto che l’Eterno è con te; e abbiamo detto: Si faccia ora un giuramento fra noi, fra noi e te, e facciamo un patto che non ci farai alcun male, così come noi non t’abbiamo toccato. Ti abbiamo fatto solo del bene, e ti abbiamo lasciato andare in pace. Tu sei ora benedetto dall’Eterno” (Bereshìt, 26: 27-29).
R. Aharon Benzion Shurin (Lituania, 1913-2012, Brooklyn) in Kèshet Aharon (p. 91) fece notare l’assurdità dell’affermazione del re Avimèlekh: il bene che i goyìm fanno agli ebrei è che li cacciano dal loro paese senza far loro altro male!
R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) commenta che Avimèlekh temeva che Yitzchàk, diventato ricco e potente, si volesse vendicare per essere stato trattato male dai filistei.
R. Chayim Yosef David Azulai (Gerusalemme, 1724-1806, Livorno) nel suo commento Penè David osserva la stranezza del comportamento di Yitzchàk con il re Avimèlekh. Dagli esempi di Moshè con il faraone e del profeta Elia con il re Achàv, sappiamo che essi trattarono il re con rispetto. In questo frangente invece il patriarca Yitzchak parlò al re dei filistei in modo diretto chiedendogli perché fosse venuto dopo che l’avevano mandato via da Gheràr. R. Azulai spiega che il comportamento di Yitzchàk era del tutto giustificato. Ai tempi di Avraham vi era stato un giuramento, oggi si direbbe un patto di non aggressione, tra Avraham e il re dei filistei. Pertanto, mandando via Yitzchàk da Gheràr, il re dei filistei aveva violato il giuramento. Yitzchàk aveva quindi tutti i buoni motivi per rimproverare Avimèlekh.
R. Ya’akov Farbstein di Brooklyn, nella sua opera Aholè Ya’akov (Bereshìt vol. II, p. 271) si sofferma sul fatto che Yitzchàk rimproverò il re Avimèlekh. Egli cita un midràsh nel quale è detto che i rimproveri (in ebraico, tokhachà) servono a portare la pace tra le due parti. La dimostrazione è che dopo l’incontro con Yitzchàk, Avimèlekh se ne andò via in pace.
R. Farbstein fa notare che rimproverare il prossimo con le buone maniere è una mitzvà della Torà. Nella parashà di Kedoshìm è scritto: “Non odiare il tuo fratello nel tuo cuore, ma devi ammonire il tuo prossimo e non essere responsabile del suo peccato” (Vaykrà, 19:17). Egli cita il Sèfer ha-Chinùkh (mitzvà 239) dove è scritto che è mitzvà ammonire un altro israelita che non si comporta come si deve, sia per peccati commessi nei confronti di altri, sia per peccati commessi nei confronti del Creatore. Ammonire il prossimo è quindi un dovere, perché si dà al prossimo la possibilità di scusarsi e in questo modo si può vivere in pace con lui senza averlo in astio. È chiaro però dal versetto succitato che la mitzvà di ammonire il prossimo comprende solo gli israeliti. La mitzvà di ammonire il prossimo non comprende un noachide che trasgredisce le sue sette mitzvòt. R. Farbstein suggerisce che non si ammonisce il prossimo solo perché è una mitzvà della Torà, ma anche perché non vogliamo che il mondo sia popolato da peccatori che trasgrediscono le leggi del Creatore. Se così, si può ammonire anche un noachide perché vogliamo vivere in una società morale.