L’accusa di spionaggio è assai facile. Basta affermare che l’accusato ha guardato qualcosa di sospetto per metterlo in guardina. Questa era appunto l’accusa inventata da Yosef nei confronti dei suoi fratelli per verificare che si fossero pentiti di quello che gli avevano fatto e che fosse possibile ristabilire un rapporto fraterno con loro.
Nella parashà è raccontato che a causa della carestia i fratelli vennero in Egitto per comprare grano (Bereshìt, 42: 1-4).
R. ‘Ovadya Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) commenta che i fratelli di Yosef vennero in Egitto in carovana con molti altri, per proteggersi dai briganti che erano diventati più numerosi durante la carestia. R. Sforno aggiunge che Yosef controllava personalmente le vendite di grano agli stranieri che pagavano in contanti, perché non si fidava di lasciare i suoi servitori con grandi somme di denaro. E fu proprio per questo motivo che avvenne il primo incontro tra Yosef e i suoi fratelli.
Rashì (Troyes, 1040-1105) citando il Midràsh (Bereshìt Rabbà, 91:6) scrive che i fratelli passarono il confine egiziano, ognuno entrando da una porta diversa per non farsi vedere tutti insieme e non attrarre l’invidia della gente perché erano tutti forti e di bell’aspetto.
R. Chizkiyà ben Manoach (Francia, 1250-1310) nel commento Chizkuni, cita il Midràsh Tanchumà dove è raccontato che Yosef aveva dato ordine di non fare entrare nessuno nel paese senza avere per iscritto il nome della persona, del padre e del nonno. Fu così che Yosef ricevette i rapporti dell’entrata dei dieci fratelli da dieci porte diverse. Rashì commenta che questo fu uno dei pretesti dell’accusa di Yosef che i fratelli erano delle spie. Altrimenti sarebbero entrati tutti insieme.
R. Sforno commenta che i fratelli si difesero dall’accusa di spionaggio affermando che se fossero stati delle spie arruolate da una potenza straniera, nessun re avrebbe fatto uso di dieci fratelli. Yosef rispose che avevano detto di essere fratelli per fare credere che non erano spie. Come risposta i fratelli dissero che sarebbe stato facile verificare che dicevano la verità perché il padre abitava nella terra di Canaan, e sia lui che i vicini avrebbero testimoniato che essi venivano da un famiglia di dodici fratelli. Qui erano venuti in dieci; il più giovane era a casa con il padre e un altro era disperso. Yosef rispose che il fratello disperso era appunto quello che essi avevano mandato indietro con le informazioni che avevano raccolto nel paese. E alla fine disse loro che la prova della loro innocenza sarebbe stata quella di far venire il fratello più giovane che era a casa del padre. Se fossero stati delle spie, nessun individuo non imparentato con loro avrebbe rischiato la vita per venire in Egitto e dare prova della loro innocenza.
R. Shelomo Efraim Luntschitz (Polonia, 1550-1619, Praga) autore del commento Kelì Yakàr, scrive che le accuse nei confronti dei fratelli erano due: la prima di essere delle spie e per questo si erano mischiati tra la moltitudine per raccogliere notizie sul paese; la seconda che erano entrati di proposito da dieci porte diverse per cercare le aree meno difese del paese.
R. Luntschitz aggiunge che c’è chi dice che Yosef inventò l’accusa che i fratelli erano spie piuttosto che un’altra accusa, perché temeva che si informassero sull’identità del viceré che controllava le vendite all’esportazione, cioè lui stesso, e venissero a sapere che era il fratello disperso.