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    Parashà di Mass’è: L’influenza dell’ambiente sull’uomo

    Questo è il titolo di una derashà di rav Yosef Shalom Elyashiv su questa parashà. Nella parashà è raccontato che Moshè ricevette la mitzvà di designare sei città come luoghi  di rifugio per coloro che avevano commesso un omicidio non intenzionale (shoghèg). Queste città erano destinate ad essere abitate dai Leviti, la cui tribù non aveva ricevuto nessun territorio in Eretz Israel.  

                Colui che commetteva un omicidio doloso era passibile della pena di morte. Questo però solo a condizione che fosse stato avvertito da due testimoni che il delitto che stava per compiere lo rendeva passibile della pena di morte e costui ignorasse l’avvertimento. In pratica la pena di morte per omicidio era quasi impossibile.  

                Era però più frequente che venissero puniti coloro che avevano causato la morte di persone senza intenzione di farlo. Un esempio dato nella mishnà (Makkòt, 2:1) è quello di una persona che cala una botte e, per mancanza di attenzione, la botte cade e causa la morte di una persona. L’omicida, per proteggersi dai parenti della vittima, poteva trovare rifugio in una delle sei città  dei leviti. Si trattava di un domicilio coatto che si poteva lasciare per tornare a casa solo con la morte del Kohen Gadol. La fine del domicilio coatto avveniva non solo per la morte del Kohen Gadol in carica, ma anche di altri kohanim che avevano sostituito il Kohen Gadol pro-tempore quando il Kohen Gadol non era stato in grado di fare il servizio (Mishnà Makkòt, 2:6).

                R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) commenta che dal momento che vi erano diversi livelli di delitti commessi senza intenzione, il periodo di domicilio coatto variava da persona a persona. Questo è il giudizio del Creatore che faceva sì che ognuno di questi rifugiati ricevesse la pena che si meritava. 

                Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt Shemità ve-Yovèl, 13:12) descrive la vita dei Leviti nelle loro città: “E perché Levi non ricevette un territorio in Eretz Israel, né il diritto alle spoglie di guerra con i suoi fratelli? Perché fu destinato al servizio divino e a insegnare le Sue rette vie e le Sue giuste leggi al pubblico”. Nel deserto i leviti rappresentavano poco meno del quattro percento del popolo. E anche quando si stabilirono in Eretz Israel la loro percentuale non fu certo superiore a un tredicesimo del popolo.  Non avevano terreni e venivano mantenuti con la decima del raccolto di tutte le altre tribù. In cambio di questo si dedicavano allo studio della Torà e all’insegnamento al popolo. Le città di rifugio offrivano quindi un ambiente spirituale.  

                R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910- 2012, Gerusalemme) In Divrè Aggadà (pp. 323-4)  osserva che questo tipo di omicidio poteva capitare perché chi l’aveva commesso non aveva sufficiente “Ahavàt Israel”, amore per il prossimo. La città di rifugio non doveva servire solo come protezione dalla famiglia della vittima, ma soprattutto a far fare teshuvà a coloro che avevano causato involontariamente la morte di altri.  A tale scopo le città dei leviti offrivano l’ambiente adatto.

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