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    Parashà di Behàr-Bechukkotày: La nostra storia, una valle di lacrime

    Nella parashà di Bechukkotày, l’ultima del libro di Vayikrà, la Torà presenta le ricompense per l’osservanza delle mitzvòte le punizione per le trasgressioni. Grandi sono le ricompense: splendida situazione economica e pace. Terribili le punizioni: esilio e persecuzioni. Il capitolo termina con le seguenti parole: “Nonostante tutto questo anche quando saranno nella terra dei loro nemici, non li disprezzerò e non li respingerò fino ad annientarli, infrangendo il mio patto con loro, perché io sono l’Eterno, loro Dio” (Vayikrà, 26:44). 

                Si racconta che R. Israel Hakohen Kagan, detto il Chafètz Chayìm (Belarus, 1838-1933), quando leggeva questo versetto non poteva trattenere le lacrime e diceva: “Questo è il solo versetto di consolazione dopo tanti di  ammonizione. Cosa possiamo dire? Che anche nella terra dei nostri nemici il Santo Benedetto non permetterà la nostra distruzione? Ciò vuol dire che fino a questo estremo è possibile che i nostri nemici ci perseguitino!”. Parole profetiche!  

                R. Meir Simcha Hakohen (Lituania, 1843-1926, Lettonia) nella suo commento alla Torà, intitolato Mèshekh Chokhmà, scrive che è opportuno cercare di analizzare come la Suprema Provvidenza ha fatto in modo che il popolo d’Israele potesse sopravvivere in esilio senza scomparire. Il primo a dare direzione in questo senso fu il patriarca Ya’akòv che diede istruzioni alla famiglia di distinguersi dagli egiziani conservando la loro lingua e il modo di vestire. Inoltre, chiese che i figli lo seppellissero nella terra di Canaan. Se fosse stato seppellito in Egitto i figli d’Israele si sarebbero stabiliti in Egitto in modo permanente. Vedendo invece che il patriarca si era fatto seppellire nella terra d’Israele avrebbero ricordato la loro origine e si sarebbero resi conto che la loro residenza in Egitto era provvisoria. Infatti ogni anno leggiamo nella Haggadà di Pèsach: “[Ya’akòv] dimorò come straniero, vuol dirci che non vi si recò per stabilirsi colà ma solo per una dimora temporanea”.  E così Ya’akòv insegnò ai discendenti che le loro residenze in esilio sarebbero state temporanee. 

                Così fece anche ‘Ezra, che quando guidò il ritorno di parte del popolo dall’Esilio babilonese, prese delle misure per separare gli israeliti dai residenti che erano stati trapiantati dai babilonesi nella terra d’Israele. Mantenendosi separati il popolo d’Israele ha potuto miracolosamente sopravvivere per secoli in esilio tra altri popoli. Inoltre per impedire che la nazione venisse assorbita dal paese di residenza, la Provvidenza fece sì che dopo un certo periodo avvenisse qualche evento che ne causasse  l’allontanamento da qualche paese. 

    Nel nuovo paese il popolo ricostruirà le comunità e le sue istituzioni e man mano  rifiorirà lo studio della Torà. Ma anche lì sorgeranno poi persone che dimenticando il loro passato crederanno che “Berlino è Gerusalemme”. Così verrà ancora una nuova tempesta e il popolo verrà nuovamente sradicato e dovrà trovare altri luoghi dove dimorare. R. Meir Simcha Hakohen descrive in poco più di due pagine le peripezie del popolo d’Israele durante i secoli e la loro miracolosa sopravvivenza sotto la protezione della Provvidenza divina. 

    Un’opera sulle sofferenze del popolo d’Israele, intitolata ‘Emek Habakhà (Valle di lacrime) fu scritta da R. Yosef Hakohen(Provenza, 1496-1578, Italia). ‘Emek Habakhà inizia con la conquista di Gerusalemme da parte di Tito e con la sconfitta di Bar Kokhbà a Betar, descrive con dettagli agghiaccianti i massacri che i crociati fecero delle comunità ebraiche in Germania, e prosegue fino all’espulsione e alla riammissione degli ebrei a Venezia nel 1573. Si conclude con una preghiera per la fine delle peripezie con la redenzione finale. Nessuno prima di Yosef Hakohen mostrò come la storia del nostro popolo è stata una vera “Valle di lacrime”.

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