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    Parashà di Bò: Perché in alcuni mesi si celebrano due giorni di Rosh Chòdesh

    La prima mitzvà data al popolo d’Israele mentre si apprestava ad uscire dall’Egitto è quella del Kiddùsh Ha-Chòdesh (“santificazione o designazione del mese”) cioè di stabilire l’inizio di ogni mese. Nella Torà è  scritto: “L’Eterno parlò a Moshè e ad Aharon nel paese d’Egitto, dicendo: Questo mese sarà per voi il primo dei mesi: sarà per voi il primo dei mesi dell’anno” (Shemòt, 12: 1-2).

                L’autore catalano del Sefer Ha-Chinùkh (XIII sec.) scrive che questa mitzvà impone al bet din di  Gerusalemme di fissare i giorni nei quali cadono le festività basandosi sul capo mese stabilito sulla base del giorno in cui si vede la luna nuova. Quando la luna non era visibile era compito del bet din di stabilire il capo mese sulla base di calcoli astronomici. Il bet din doveva anche stabilire l’anno embolismico, nel quale veniva aggiunto un tredicesimo mese, per fare sì che la festa di Pesach cadesse nel mese di Aviv, in primavera. Senza l’inserimento periodico di un tredicesimo mese le feste si sarebbero spostate da una stagione all’altra, anticipando ogni anno di undici giorni, perché l’anno solare è di 365 giorni, mentre la somma di dodici mesi lunari risulta in 354 giorni.   

                Per accomodare il fatto che il ciclo lunare è di 29 giorni e mezzo circa, negli anni normali il calendario ebraico funziona con sei mesi di 29 giorni alternati a sei mesi di trenta giorni: un mese di 29 giorni e uno di 30 e così via. 

                Nei responsi di rav Yeshaya’hu da Trani (c1180-c1250) ve n’è uno nel quale gli venne chiesto per quale motivo in alcuni mesi di celebra il capo mese per due giorni invece che per un solo giorno. Egli rispose dicendo che è noto che il mese lunare dura 29 giorni e mezzo. Nei mesi alternati, quando il mese è di 30 giorni sarebbe appropriato dividere il trentesimo giorno in due parti, assegnando la prima metà al mese uscente e la seconda metà  al mese entrante. 

                Tuttavia nel trattato talmudico Meghillà (5a) i maestri di Cesarea a nome di rabbi Abba dissero che non si calcolano le ore per i mesi perché in Bemidbàr (11:20) è scritto “‘ad chòdesh yamìm” (“un mese di giorni”). Da questa espressione, che menziona il mese insieme con i giorni, si impara che per il mese si calcolano solo i giorni e non le ore. Pertanto non si può dividere il trentesimo giorno in due parti. Questo è il motivo per cui si deve alternare un mese “mancante” (senza la mezza giornata in più) di 29 giorni a uno “abbondante” di 30 giorni per un totale di 354 giorni. Con tutto ciò, aggiunge rav Yeshayahu, essendo il ciclo lunare di 29 giorni e mezzo, e la mezza giornata che avanza cade nel trentesimo giorno, sarebbe stato appropriato dichiarare il capo mese del mese successivo al trentesimo giorno. Questo perché se la seconda metà del giorno è santificata, tutto il giorno è santificato. Se così fosse il trentunesimo giorno non sarebbe stato dichiarato il primo giorno del mese successivo. 

                Tuttavia, poiché i Maestri decisero di assegnare il trentesimo giorno al mese uscente, il trentunesimo giorno è il primo giorno del mese entrante. Ora nonostante che il trentunesimo giorno venga stabilito come il primo giorno del nuovo mese, i Maestri hanno deciso di designare come capo mese anche il trentesimo giorno poiché è lì che è avvenuto il novilunio. Per questo motivo abbiamo due giorni di Rosh Chòdesh.

                E così usavano fare fin dai tempi dei profeti, come è reso evidente da Shemuel (I, 20:27) dove si parla del secondo giorno di Rosh Chòdesh: “Ma l’indomani, secondo giorno della luna nuova, il posto di Davide era ancora vuoto”. 

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