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    La strategia autodistruttiva di Hamas

    Dal punto di vista di un calcolo razionale degli interessi della popolazione di Gaza o anche in generale del “popolo palestinese”, le scelte di Hamas appaiono incomprensibili. Perché mandare per decine di volte migliaia di persone fornite solo di armi leggere contro un confine difeso da un esercito regolare, ben armato e organizzato come quello israeliano, costringendo quest’ultimo a sparare per tutelare la sovranità di Israele e la sicurezza dei villaggi vicini al confine, procurandosi circa 200 morti senza alcun vantaggio militare? Perché sparare decine di missili sugli stessi villaggi di confine e anche sulle città, sapendo che essi saranno quasi tutti fermati dal sistema Iron Dome senza danni a Israele, e che l’aviazione israeliana regolarmente risponderà, colpendo davvero obiettivi militari sensibili? Perché farsi male da soli? E’ evidente che Hamas vuole attirare Israele a un’operazione su Gaza, che non potrà di nuovo che fare molto male alle sue forze, senza la minima possibilità di sconfiggere l’esercito israeliano. Ci sono due risposte concomitanti. La prima è che il regime di Hamas non soddisfa affatto la popolazione che lo subisce, e una guerra esterna è un buon modo per sfogare il malcontento. La seconda è che Hamas (e ancor più la Jihad Islamica, il secondo gruppo terrorista che ha rivendicato gli ultimi lanci di missili) serve gli interessi dell’Iran e della Siria che vogliono distogliere le forze dell’esercito israeliano dal fronte settentrionale e cercare di danneggiare la rete di alleanze di Israele, che è arrivata anche in molti paesi arabi. Se Israele sarà  costretto alla fine a intervenire a Gaza, i soliti “utili idioti” se la prenderanno con la “crudeltà” e il “colonialismo” dello stato ebraico. Ma la verità è che Israele non vuole la guerra e che Hamas cinicamente la cerca accumulando cadaveri dei suoi sudditi.

     

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