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    Israele e il rischio di altre inutili elezioni

    Con la presentazione delle liste, avvenuta mercoledì scorso, la terza campagna elettorale israeliana è entrata nel vivo. Sono state presentate trenta liste, ma se si bada a coloro che hanno probabilità di entrare alla Knesset (Parlamento) c’è stata una certa semplificazione. A sinistra ci sono due liste Kahol Lavan (biaco-azzurro) di tre ex capi delle forze armate (Gantz, Askenazi e Ja’alon) e un giornalista (Lapid) e la fusione dei due partiti socialisti, il più moderato Laborista e il radicale Meretz. A destra c’è il Likud di Natanyahu e Yamina (destra) che unisce i partiti nazionalisti. Vi sono inoltre due liste religiose, una askenazita e una sefardita, che hanno fatto blocco negli ultimi anni con la destra, la lista unitaria araba, che viene spesso contata con la sinistra, anche se è improbabile che possano entrare al governo assieme, per i legami che alcuni di loro hanno con movimenti palestinisti che appoggiano la lotta armata. E c’è Yisrael Beitenu di Lieberman, che sul piano nazionale sarebbe a destra, ma si oppone ai religiosi e soprattutto alla riconferma dell’attuale primo ministro Netanyahu. E’ intorno alla sua figura e all’accusa di corruzione che gli viene mossa per aver accettato contatti (non conclusi da accordi) con magnati dei media per ottenere un atteggiamento meno ostile dai loro giornali per il governo in cambio di politiche da loro richieste, che la politica israeliana si è bloccata e anche queste elezioni rischiano di essere inutili. Il blocco  di sinistra, secondo i sondaggi, avrà 41-43 seggi su 120; Lieberman 7-8; gli arabi 13. Insieme arriverebbero a 62-63 seggi, ma è difficile che si uniscano. La destra più i religiosi dovrebbe raggiungere i 45-47 seggi, avrebbero la maggioranza con Liberman, ma anche lui rifiuta. I due maggior partiti ce la farebbero già da soli, ma non sono riusciti ad accordarsi nei mesi scorsi. Il blocco dovuto all’innaturale unione di tutti quelli che a qualunque costo non vogliono Netanyahu premier rischia di continuare a impedire a Israele di avere un governo.

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