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    In Israele è campagna elettorale permanente

    Ogni tanto sui giornali esce qualche notizia di politica interna israeliana e in particolare sulle elezioni: un giorno c’è chi propone di non ripeterle, annullando la legge di scioglimento della Knesset, un altro si annuncia la ricandidatura di Ehud Barak, che aveva abbandonato la politica dopo il fallimento del suo “partito dell’indipendenza” nel 2012 (ma aveva già abbandonato la vita politica nel 2001, dopo essere stato sconfitto da Sharon ed era tornato nel 2005). Un altro giorno si ipotizza la rottura del fronte di destra, ma il giorno dopo sembra che voglia entrarci Bennett, che se n’era distaccato prima delle elezioni di marzo. Quanto alla sua collega Ayelet Shaked, ora è data alla testa della lista di destra, ora si suppone che entri nel Likud. La politica israeliana è ormai in campagna elettorale da quasi un anno e probabilmente ci resterà fino alle elezioni previste per settembre. E il sistema elettorale israeliano, con il proporzionale puro, il collegio unico nazionale e una barriera di ingresso molto bassa fa si che bastino 150 mila voti perché un partito entri alla Knesset. Ciò, unito alla forte personalizzazione della politica e alla grande differenziazione ideologica, religiosa, di origine e costumi della popolazione israeliana fa sì che la politica sia frammentatissima e la formazione del governo sempre difficile. Ma al di là di questi dati, la volontà dell’elettorato è chiarissima: continuare con la politica, prudente ma decisa degli ultimi anni; fidarsi di Netanyahu nonostante le infinite campagne di diffamazione che l’hanno preso di mira, rifiutare le fallimentari politiche di arrendevolezza alla pretese dei palestinisti che da Oslo in poi sono il mantra della sinistra. Vedremo se questa campagna elettorale infinita permetterà alla fine di realizzare questa volontà politica  degli israeliani.

     

    Ugo Volli

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