di David Meghnagi, Prof. senior Roma Tre, psicoanalista
La pandemia che sconvolge in questi giorni il mondo intero era una tragedia annunciata, che avrebbe richiesto sin dagli inizi una collaborazione internazionale ben più intensa e attiva, che mettesse al centro l’interesse comune. E’ doloroso a dirsi. I segni erano chiari molto prima che la diffusione esponenziale del virus assumesse i contorni attuali, spingendo i governi ad agire con gravi ritardi. Solo negando e chiudendo gli occhi di fronte al pericolo, si poteva dire come hanno fatto alcuni fino a breve tempo fa che si trattava di un “raffreddore” un po’ più forte, o che il problema non riguardasse i giovani, come se giovani e anziani vivessero in pianeti diversi e soprattutto in Italia, per la mancanza di lavoro, non occupassero gli stessi spazi e che per immaginare altre soluzioni ci vuole del tempo, e se nel frattempo il rischio è che la gente muoia la cosa più saggia da fare è di chiudere le attività non necessarie per rallentare e limitare la moltiplicazione esponenziale dei contagi, con l’obiettivo di evitare il collasso del sistema sanitario. Per non parlare di chi inizialmente affermava che si potesse combattere il virus lasciandolo circolare, salvo ricredersi quando è apparso chiaro che i morti sarebbero stati oltre duecento mila.
In assenza di un protocollo condiviso, gli errori di un paese si ripetevano in quelli toccati dopo con le stesse scene e gli stessi discorsi che rivisti oggi fanno rabbrividire: le piazze piene di giovani, le immagini dei politici con gli aperitivi, partite di calcio che si tengono nonostante il pericolo ormai evidente, primi turni elettorali che si tengono, nonostante ormai sia chiaro che di lì a poco si dovrà comunque chiudere. Dichiarazioni irresponsabili che pochi giorni dopo sono capovolte in toto, senza nemmeno poi sentire il bisogno di scusarsi o provare il minimo senso di vergogna, quando ormai è chiaro che la morte non riguarda più solo agli “altri”. E non è ancora finita. Siamo solo agli inizi di un sfida che va oltre l’emergenza sanitaria, che deve essere quanto prima superata. E’ in gioco il futuro delle persone, l’angoscia per il lavoro.