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    Dopo la pandemia da coronavirus cosa resterà? Sarà necessaria una nuova forma di socialità e di solidarietà

    Sarà graduale, progressiva e dolorosa per molti – un solo esempio, gli anziani destinati a rimanere segregati – ma la riapertura ci sarà. A chiederla con forza è prima di tutto Confindustria che ieri non solo ha confermato quanto già noto (– 6% del Pil in meno e recessione piena) – ma ha anche previsto una perdita dello 0,75% del Pil per ogni settimana di fermo a maggio. Una catastrofe economica e finanziaria di portata colossale che potrebbe far arrivare a 40 milioni – nella sola Europa – il numero dei disoccupati.

    Gli argomenti di Confindustria, va detto, non sono senza fondamento anche perché le filiere produttive sono ormai molto integrate e distinguere tra attività essenziali e non essenziali è quasi impossibile.

    E tuttavia, nonostante la pressione degli industriali, il governo resta deciso a confermare le misure restrittive in toto: quarantena, chiusura delle attività commerciali, sospensione delle attività produttive. Certamente fino al 12 aprile, come ha già assicurato il ministro della Sanità Speranza. Ma poiché è impossibile immaginare un dpcm che resti in vigore meno di due settimane, il decreto che prolungherà l’emergenza a partire dal 3 aprile arriverà sicuramente sino al 18 aprile.

    Cosa succederà dopo quella data, però, non è affatto certo. Dipenderà da numerose variabili e immaginare che il governo e il comitato scientifico abbiano già deciso come muoversi sarebbe sbagliato, anche se certamente la tendenza è quella di riaprire almeno le aziende. Quelle variabili sono essenzialmente tre. 

    La prima, naturalmente, è lo stato del contagio. I segnali positivi ci sono, ma sono timidi. Al momento si tratta di un rallentamento, nemmeno drastico, nella velocità di crescita. Se per il 18 aprile la curva non sarà invece in discesa – e non solo in meno celere salita come sta accadendo in questi giorni – riaprire anche solo le aziende potrebbe rivelarsi impossibile.

    La seconda variante riguarda gli strumenti a disposizione per contrastare il contagio. Se il 18 aprile fossero ancora quelli attuali, tornare anche solo in parte alla normalità sarebbe un suicidio quasi garantito. Bisogna disporre di tamponi e mascherine, che continuano a scarseggiare anche per i continui intoppi burocratici denunciati ieri dal governatore della Lombardia Sala. Inoltre per la guerra al virus è fondamentale poter disporre delle app per tracciare i telefoni in modo da poter intervenire subito su chi è stato in contatto con un nuovo positivo, informandolo e chiedendogli di contattare subito la Asl. Il lavoro dovrebbe essere in fase avanzata. Però quella app (che si potrebbero acquistare da Israele) ancora non è disponibile. Altrettanto importante la possibilità di effettuare le analisi sierologiche. Non servirebbe a restituire rapidamente una mappa del contagi, dal momento che quell’analisi non indica i casi di positività. Sarebbe però sufficiente per individuare gli immuni, e il quadro sarebbe così molto più definito. Sull’analisi sierologica sta lavorando tutto il mondo. I passi avanti pare siano notevoli e veloci. Ma nemmeno questa analisi è ancora disponibile.

    La terza variabile è il comportamento degli italiani. Il weekend ha segnalato una brusca impennata nella trasgressione alle norme del distanziamento sociale, anche da parte di numerosi positivi. Il rischio di una trasgressione di massa nell’ultima decina di aprile, costellata di ponti e vacanze, peserà moltissimo.

    Se le variabili in questione lo permetteranno a partire dal 18 potrebbero iniziare a riaprire progressivamente le aziende che hanno nel frattempo adottato le misure di sicurezza necessarie. Per gli esercizi commerciali bisognerà aspettare di più, probabilmente sino al 4 maggio, e comunque le norme di sicurezza resteranno rigide. Si entrerà solo con le mascherine e a scaglioni per garantire la distanza di sicurezza. Ristoranti e bar saranno gli ultimi a riaprire e solo quelli che permettono la distanza di sicurezza, mentre per le scuole quasi certamente non se ne parlerà prima di ottobre.

    Parlare di fine dell’emergenza è dunque sbagliato. Si tratterà di un attenuamento dell’emergenza lento, progressivo e sempre passibile di nuove strette se necessario. Lo stesso impatto negativo sull’economia si ammorbidirà ma senza esaurirsi per molti mesi.

    Ma soprattutto, a cambiare, saranno le nostre vite. Vivremo “a distanza”, nascosti dietro sterili mascherine necessarie a proteggerci dal contagio ma destinate a ingabbiare i nostri sorrisi. Pensiamo ai più piccoli, quelli nati in questi mesi sciagurati e che ancora non hanno visto il cielo né mai annusato l’aria della primavera; agli anziani – categoria che ormai comprende tutti coloro che vanno dai 60 anni in poi – e che saranno gli ultimi ad uscire da casa; a tutti noi che per chissà quanto tempo dovremo dimenticare le nostre cene e i nostri abbracci e che, in ogni luogo, dovremo continuare a “mantenere le distanze”. Gli uni dagli altri, manco fossimo nemici. La sfida sarà quella di ricercare un luogo nuovo per una nuova forma di socialità. Lo studio, la tefillà, la solidarietà. Con il pensiero sempre rivolto a chi, in questi mesi, anche della possibilità di questa ricerca è stato privato.    

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