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    Allunaggi e noviluni

    Una strana coincidenza il fatto che Tito Stagno, il telecronista della Rai che nel 1969 portò la luna nelle nostre case, sia morto proprio di Rosh Chodesh, il capomese, il giorno in cui noi ebrei celebriamo il novilunio. Secondo l’esegesi rabbinica quando l’Eterno ordinò a Moshè il precetto del calcolo del tempo gli fece vedere la luna nuova affinché tramandasse alle future generazioni le modalità per stabilire il capomese.

     

    Fu quella la data di inizio di un calendario del tutto particolare, i cui tempi sono scanditi essenzialmente dalle fasi lunari oltre che dall’avvicendarsi delle stagioni. Nella doppia struttura solare e lunare, tra il sole immobile che sembra agli uomini girare incessantemente sulla stessa orbita e la luna che invece cresce e cala ogni mese, rinnovandosi, la prospettiva ebraica è spostata più verso quest’ultima. Molte spiegazioni sono state avanzate per giustificare la preferenza accordata dall’ebraismo al ciclo lunare piuttosto che a quello del sole.

     

    Sin dai primordi dell’umanità una particolare relazione ha legato l’astro lunare alla vita dell’uomo. La luna, con la sua periodicità, è stata considerata l’astro dei cicli della vita che stabilisce le scadenze dei ritmi, in particolare delle piogge, della vegetazione, della fertilità e della fecondità. In secondo luogo questa relazione è stata determinata dal fatto che ambedue gli esseri risultano assoggettati alla legge del “divenire” ovvero a momenti  in cui si cresce, si cala e si sparisce, o piuttosto in cui si cala , si sparisce e si cresce.

     

    Ma si badi bene anche la scomparsa della luna è seguita sempre da una rinascita, la “luna nuova”, per cui mai la morte è da considerarsi definitiva. Questi motivi sono talmente presenti nell’ebraismo che la luna ha occupato un posto di grande rilievo nella tradizione ebraica. Nella coscienza ebraica la luna è diventata per l’individuo una specie di archetipo, una specie di memoria continua e perenne. Il rinnovarsi della luna diviene quindi il simbolo di un rinnovamento spirituale e psicologico. Questo aspetto viene accentuato in quella ricorrenza molto sentita presso il popolo ebraico, il rosh chòdesh, il novilunio che è, letteralmente, il “capomese”, ma in cui ben presente è la radice “chadàsh”, “nuovo” che indica l’idea di rinnovamento e di palingenesi. Per l’ebraismo l’uomo, come il ciclo della luna, deve tendere a rinnovare ogni mese le sue fasi alla ricerca della propria identità.

     

    Una esegesi tradizionale ebraica ci insegna a non porsi sotto il dominio esclusivo del sole. “En chadàsh tàchat ashémesh”, “non c’è niente di nuovo sotto il sole” dice il Qohelet , l’Ecclesiaste (1;9), come a dire non c’è novità sotto il dominio, sotto la civiltà del sole. Una frase che ci richiama alla considerazione che le grandi civiltà adoratrici del sole sono finite ineluttabilmente nei musei, sostituite da altre civiltà che a loro volta hanno seguito lo stesso corso storico di nascita, espansione, formazione di un impero e declino fino alla crisi che porta al tramonto. Quando la memoria diventa solo un esercizio commemorativo senza essere accompagnata dal rinnovamento in ogni generazione, allora “en chadàsh”, «non c’è novità», non c’è più crescita e si rimane in un sistema di pensiero ripetitivo e autoreferenziale.

     

    Il Rabbino Roberto Della Rocca è autore tra gli altri di Con lo sguardo alla luna (Giuntina)

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