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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Acharè Mot: Solo chi appartiene alla comunità riceve il perdono divino di Kippur

    Questa parashà inizia con le istruzioni al Kohen Gadol su quello che doveva fare durante il giorno di Kippur, il giorno dell’espiazione dei peccati. Il Kohen Gadol doveva prendere due capri acquistati con i fondi pubblici del popolo d’Israele ed estrarre a sorte il loro destino. Un capro veniva sacrificato nel Bet Ha-Mikdàsh e serviva di espiazione per i peccati commessi in relazione con il Bet Ha-Mikdàsh, come nei casi in cui qualcuno vi fosse entrato senza essere in stato di purità. Riguardo al secondo capro è scritto che il Kohen Gadol “poneva le sue mani sulla testa del capro vivo e confessava su di lui tutti i peccati dei figli d’Israele e tutte le loro trasgressioni e le metteva sulla testa del capro che mandava nel deserto a mezzo di un uomo predisposto a questo scopo” (Vaykrà, 16:21).
    Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt Teshuvà, 1:2) scrive: “Riguardo al capro da mandare via, poiché serve da espiazione per tutto Israele, il Kohen Gadol fa la confessione a nome di tutto Israele […]. Il capro da mandare via espia tutte le trasgressioni della Torà, sia quelle meno gravi (kalòt) sia quelle gravi (chamuròt). Sia che qualcuno le abbia fatte intenzionalmente, sia involontariamente; sia che ne fosse conscio, sia che non lo fosse. Tutto viene espiato con il capro da mandare via, a condizione che la persona abbia fatto teshuvà (cioè che abbia rimorso, confessi i peccati e prometta di non commetterli più). Se non ha fatto teshuvà il capro da mandare via espia solo i peccati meno gravi. E quali sono i peccati meno gravi e quali sono quelli gravi? Quelli gravi sono i peccati per i quali vi è la pena di morte da parte del Bet Din e il karèt (morte per mano divina). I giuramenti in vano e in falso sono peccati gravi, anche se per loro non vi è la pena del karèt. Le altre mitzvòt proscrittive (che comandano di non fare), e le mitzvòt prescrittive (che comandano di fare qualcosa) per la cui omissione non vi è il karèt, sono parte dei meno gravi”.
    R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston), In Mesoras Harav (pp. 115, 119, 124) spiega che la confessione del Kohen Gadol sul capro espiatorio non comprende rimorso e intenzione di non fare gli stessi peccati, elementi necessari per la confessione individuale. Quando confessa per tutto Israele, la confessione non è un’espressione di teshuvà ma è un mezzo di espiazione (kapparà) pubblico, come un sacrificio comune. La kapparà, espiazione, implica la rimozione della punizione che risulta dal peccato commesso. Così come un creditore può rinunciare a riscuotere un debito, l’Eterno può assolvere il peccatore dalla punizione.
    R. Soloveitchik sottolinea che il Maimonide scrive che il capro espiatore è un mezzo così forte di espiazione che anche senza pentimento serve da assoluzione per tutte le trasgressioni, ad eccezioni di quelle che comportano la pena di morte da parte del Bet Din o la morte per mano divina (karèt). Il capro espiatorio non appartiene a nessun individuo, appartiene alla comunità, alla Kenèsset Israel che ha una sua personalità indipendente. Il sacrificio del capro espiatorio serve da espiazione per i peccati di tutti i membri del popolo d’Israele che aderiscono alla Kenèsset Israel e ne rimangono membri inseparabili. L’individuo riceve l’espiazione solo nella sua capacità di membro della comunità.
    È grazie a questa spiegazione che si può comprendere la distinzione che fa il Maimonide tra i peccati punibili con la pena di morte e gli altri. In relazione alle persone che meritano la pena di morte è scritto “la persona sarà tagliata da Israele” (Vaykrà, 19:13) e anche “Quella persona sarà tagliata dalla comunità” (ibid., 19:20). Queste persone hanno fatto qualcosa che li esclude dalla comunità d’Israele. Di conseguenza, l’espiazione comune del capro espiatorio non ha effetto su di loro.
    Il Maimonide conclude che al giorno d’oggi, senza il Bet Ha-Mikdàsh, vi è solo la teshuvà che serve per l’espiazione di tutte le trasgressioni (Hilkhòt Teshuvà, 1:3).

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