Due monete d’argento sono l’innesco narrativo della canzone “Had Gadya” che si intona alla fine del Seder di Pesach (cena pasquale), e che esiste in più varianti e dialetti a partire dal XV secolo. Con due “scudi” nella versione italiana un padre compra un capretto, mentre in quella yiddish con due “zuzim” riesce a comprare un solo bambino. Da quel momento parte una canzone concatenata e cumulativa, dove ogni personaggio che subentra distrugge il precedente: un gatto viene mangiato da un cane che a sua volta viene colpito da un bastone che viene bruciato dal fuoco… fino a quando D-o non uccide l’angelo della morte mettendo fine a tutte le violenze. È quindi una canzone dal testo curioso e apparentemente illogico che riesce a mantenere l’attenzione dei bambini, ma che nel contesto della sera di Pesach – che ricorda la liberazione dalla schiavitù – può rappresentare la liberazione divina del popolo ebraico dalle nazioni che tentarono di distruggerlo.
Nel 1917 questa canzone offriva tutti gli elementi di fantasia necessari a incuriosire l’artista ebreo El Lissitzky (1890-1941) che decise di illustrarla. L’artista sfruttò l’occasione per combinare le immagini alle lettere creando un lavoro di grafica originale non solo per l’iconografia ebraica, ma anche nell’ambito delle avanguardie di inizio novecento. Nella seconda versione che realizza nel 1919, El Lissitzky immagina che quella di “Had Gadya” può avere un riscontro con la sua contemporaneità: probabilmente gli ricordò la liberazione del popolo russo dalla dominazione zarista grazie all’arrivo della rivoluzione. È così che il pittore rappresenta l’angelo della morte con in testa un’evocazione della corona dello Zar. La sconfitta dell’angelo della morte è simbolo di speranza per la popolazione, anche quella ebraica, che vede nella rivoluzione l’arrivo di una giustizia sociale.
Zeta di Zuzim
Due monete d’argento sono l’innesco narrativo della canzone “Had Gadya” che si intona alla fine del Seder di Pesach (cena pasquale), e che esiste in più varianti e dialetti a partire dal XV secolo. Con due “scudi” nella versione italiana un padre compra un capretto, mentre in quella yiddish con due “zuzim” riesce a comprare un solo bambino. Da quel momento parte una canzone concatenata e cumulativa, dove ogni personaggio che subentra distrugge il precedente: un gatto viene mangiato da un cane che a sua volta viene colpito da un bastone che viene bruciato dal fuoco… fino a quando D-o non uccide l’angelo della morte mettendo fine a tutte le violenze. È quindi una canzone dal testo curioso e apparentemente illogico che riesce a mantenere l’attenzione dei bambini, ma che nel contesto della sera di Pesach – che ricorda la liberazione dalla schiavitù – può rappresentare la liberazione divina del popolo ebraico dalle nazioni che tentarono di distruggerlo.
Nel 1917 questa canzone offriva tutti gli elementi di fantasia necessari a incuriosire l’artista ebreo El Lissitzky (1890-1941) che decise di illustrarla. L’artista sfruttò l’occasione per combinare le immagini alle lettere creando un lavoro di grafica originale non solo per l’iconografia ebraica, ma anche nell’ambito delle avanguardie di inizio novecento. Nella seconda versione che realizza nel 1919, El Lissitzky immagina che quella di “Had Gadya” può avere un riscontro con la sua contemporaneità: probabilmente gli ricordò la liberazione del popolo russo dalla dominazione zarista grazie all’arrivo della rivoluzione. È così che il pittore rappresenta l’angelo della morte con in testa un’evocazione della corona dello Zar. La sconfitta dell’angelo della morte è simbolo di speranza per la popolazione, anche quella ebraica, che vede nella rivoluzione l’arrivo di una giustizia sociale.