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    Vita di Yehudà. Leone da Modena o l’anticonformismo all’italiana

    Gli anni tondi sono un’occasione per rievocare figure passate che hanno recato lustro al nostro ebraismo italiano.  Ma quando la distanza si fa grande capita che purtroppo ci si dimentichi.  E’ stato per puro caso che qui al Meis si sia notato l’anniversario dei 450 anni dalla nascita di uno dei maestri più noti e conosciuti dell’Italia ebraica.  Il 23 aprile del 1571 nasceva a Venezia Leone Modena.  Il prossimo mese di ottobre, Dio piacendo verrà inaugurata una importante mostra sui ghetti italiani. L’allestimento non poteva non prevedere l’esposizione di alcune sue opere. Un’edizione del suo dramma intitolato “Ester”, ma anche uno dei suoi lavori che ebbe più successo soprattutto in ambito non ebraico, con numerose ristampe nel corso del XVII secolo. La “historia de riti ebraici” su cui ritorneremo più avanti. L’idea di approfondire la sua figura è cresciuta a tal punto da assegnare ad una compagnia teatrale l’arduo compito di ideare una piece su di lui sul contesto ricco di stimoli in cui operò. 

    La famiglia Modena già in quel periodo possedeva una tradizione dalle profonde radici. Egli racconta nella sua autobiografia tradotta in Italiano da Rav Emanuele Artom e pubblicata qualche anno fa da Zamorani, che in casa si conservava una pergamena su cui era riportato un albero genealogico di oltre 500 anni. I suoi avi di origine francese scesero in Italia ed erano occupati nella gestione di un banco feneratizio. Per lungo tempo avevano soggiornato a Bologna fino a quando l’editto di espulsione di papa Pio V del 1569 costrinse tutti gli ebrei a lasciare la città felsinea. I Modena si trasferirono prima a Ferrara e poi a Venezia. 

    Rimaniamo stupiti da questo personaggio per la imponente quantità di interessi che spaziavano dallo scibile ebraico, inclusa la ritualistica l’esegesi, l’apologia e la polemica ma anche la poesia, la letteratura e tante altre discipline. Enfant prodige, ci racconta che a due anni e mezzo disse la prima aftarà a Ferrara dove si era trasferita la famiglia, un anno dopo si applicava già nell’esegesi e spiegava la parashà. 

    Di lui ci sono noti l’anticonformismo, i suoi vizi, il gioco d’azzardo ma anche le qualità delle sue omelie. Nel breve periodo in cui soggiornò a Ferrara era ambito da tutte le scole che se lo contendevano perché tenesse le sue derashot.  

    Del periodo ferrarese, luogo in cui visse sempre con la nostalgia della sua Venezia, ci è noto anche che creò un coro per il tempio, fortemente contestato da un rabbino locale. La questione assunse un carattere di vero e proprio scontro che superò i confini cittadini. Il punto era se fosse lecita la polifonia o l’astenersene rientrasse fra le forme di lutto da osservare per la distruzione del Santuario.  Nella sua raccolta di lettere, troviamo numerose missive inviate ad esponenti del mondo rabbinico italiano con la richiesta di pronunciarsi sull’argomento, mentre nel libro che raccoglie i suoi responsi intitolato Ziqnè Yehudà, viene presentato il suo punto di vista favorevole all’istituzione del coro. 

    Chi avesse poi voglia di ritrovare molte delle tradizioni degli ebrei italiani in parte dimenticate, può con facilità reperire sulla rete la sua opera, già citata sulla storia dei riti ebraici. Nata come risposta ad autori che dileggiavano con aspri e violenti argomenti antisemiti i fondamenti della fede ebraica, Leone con questo libro introduce con chiarezza e linearità i principali usi che scandiscono la vita di ogni ebreo del suo tempo. Scritta in italiano, contiene al suo interno molti termini in ebraico, proprio quelli che ancora oggi noi usiamo per descrivere le mizvot che siamo chiamati ad osservare. Un viaggio dentro al lessico familiare che sono sicuro offrirà al lettore belle sorprese. 

    Una vita quella di Leone da Modena, segnata anche da insopportabili tragedie. Con la atroce esperienza di vedere i quattro i figli maschi morire prima di lui, tutti molto giovani. 

    Straordinariamente lunga la lista delle sue opere, alcune pubblicate postume e a lungo trasmesse manoscritte. Altrettanto stupefacente il numero delle occupazioni che elenca nella sua biografia da cui ha tratto sostentamento. Oltre a quelle che immaginiamo, come l’Insegnamento, la chazanut, o le decisioni rituali, anche la musica, la gestione di società, il sensale, poesie per nozze e epitaffi, l’insegnamento di sortilegi e amuleti. 

    Fra l’attività poetica una curiosità: un epitaffio bilingue molto famoso che si intitola qinnà shemor (trad. Preserva l’elegia funebre) che in italiano va letto: Chi nasce mor’.  Ve lo presentiamo qui sotto in doppia versione perché sia di stimolo a leggere altre cose su questo tanto singolare quanto meraviglioso maestro illustrato in tutto il mondo.

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