Nei suoi film Roma è sempre protagonista, come fosse un personaggio vivo e vibrante. Carlo Verdone torna a far parlare la città con la sua voce, attraverso storie di vita vissuta, nella sua prima serie tv Vita da Carlo, disponibile su Prime Video. E sono storie vere, perché (quasi) tutto ciò che vediamo è accaduto realmente, e Carlo, tra vicende famigliari, professionali, sentimentali, episodi sull’orlo del paradosso, si racconta intrecciandosi con la sua amatissima città, Roma, un po’ sgangherata ma sempre bellissima. E l’umorismo paradossale, che fa sorridere davanti agli stereotipi per infrangerli ed invitando alla riflessione, ricorda la commedia ebraica. Anche il cameo di Alessandro Haber, nei panni di un attore ebreo che recita il monologo di Shylock del Mercante di Venezia, è una storia di vita di Carlo Verdone, che Shalom ha intervistato.
Nella sua serie tv quanto ci racconta di Carlo Verdone la Roma di Carlo Verdone?
Quello che lei vede nella serie non è tanto distante da episodi di vita vissuta e da vicende alle quali ho assistito. Di romanzato ci sono i figli nelle loro relazioni, che ho creato per rendere più dinamica la situazione tra me e loro, fatta di litigi, di partenze, di arrivi, di piccoli scontri. Il resto è tutto vero.
Ma è vero anche che le hanno chiesto di candidarsi come Sindaco di Roma?
Sì. Vennero da me alcuni esponenti politici con un sondaggio in mano, io arrivavo all’80% di consensi e mi proposero di candidarmi a Sindaco di Roma. Io non ci ho pensato un attimo. Per fare il politico ci vuole preparazione e passione. Io la preparazione e la passione ce l’ho soltanto per il mio lavoro. Nonostante il grande amore per la mia città non mi sentivo affatto preparato e disponibile per un impegno di così grande responsabilità. Significava chiudere con il mio lavoro.
C’è una sottile ironia che unisce il suo straordinario umorismo a quello della commedia ebraica: far sorridere sugli stereotipi, sulle nevrosi, offrendo però spunti di riflessione. È così?
Sì, mi ci ritrovo assolutamente. Mi viene in mente Maledetto il giorno che ti ho incontrato, un film assolutamente “deromanizzato” perché girato a Milano e in Inghilterra. Il personaggio che io interpreto, insieme a quello della mia coprotagonista Margherita Buy, ha una sensibilità molto simile a quella che si può ritrovare in alcune commedia di Neil Simon e in qualche dialogo di Woody Allen. Tant’è che molti critici furono d’accordo con questi parallelismi anche se io sono molto piccolo di fronte a loro. Nel salotto dei miei genitori, ho avuto la fortuna di incontrare grandi personalità ebree. Il famoso violinista Nathan Milstein, il direttore d’orchestra Leonard Bernstein, il pittore Corrado Cagli, il pittore e architetto senese Piero Sadun, grande amico di mio padre che durante le deportazioni cambiò il cognome in Duna, e molti altri. Con i miei amici ebrei condivido una certa ironia e un certo spirito. Hanno un’acutezza nell’afferrare certi dettagli ironici della realtà veramente raffinata.
Carlo, lei questa città l’ha fatta parlare in tutti i suoi film e Roma è intrecciata alla Roma ebraica, alla sua vita. È possibile che non abbia mai pensato di far incontrare questi due mondi? Potrebbe accadere in futuro?
Non è mai capitato ma potrebbe decisamente accadere. Dipende dall’idea che tiro fuori. Devo trovare un soggetto che mi possa portare a questo incontro.
Tornando alla sua serie Vita da Carlo: in un episodio c’è un cameo di Alessandro Haber, in cui, nei panni di un attore ebreo ubriaco, mette in scena davanti a lei al Gianicolo il monologo di Shylock dal Mercante di Venezia. Perché questa scelta? Lei ha parlato in varie interviste della volontà di infrangere il “politically correct”…
L’idea di quella sequenza è venuta proprio a me. Il mio personaggio, dopo una notte tormentata decide di uscire approfittando di un momento in cui la città è vuota. Avevo in mente di fargli incontrare un attore con meno popolarità di quanta ne abbia io nonostante avesse molta più esperienza alle spalle tra cinema e teatro. Ho pensato ad Alessandro Haber perché ero sicuro che avrebbe reso una grande performance. Mi ha ispirato un fatto reale. Haber mi ha sempre rinfacciato di non essere mai andato a vedere i suoi spettacoli mentre lui è sempre venuto a vedere i miei. In quella scena, palesemente ubriaco, mi dice: “Pensa che Mario Schifano è venuto tre volte. Te mai. Perché io non conto niente. Sono un povero ebreo. Hai avuto salute e una grande fortuna”. Sta già ragionando sul monologo di Shylock che di lì a poco interpreterà magistralmente. C’era il rischio di suscitare qualche polemica ma poi mi sono detto che non c’era niente di male. E’ umorismo e in fin dei conti le riflessioni che fa Shylock in quel monologo sono assolutamente condivisibili.
Lei dice ad Haber in quella scena: “Tutto il mondo è amico vostro, vi aiutano tutti…”. Ritorno all’umorismo, sfatare gli stereotipi…
Quella battuta non era scritta sul copione mi è venuta mentre stavo girando con Haber perché sentivo che dovevo intervenire per creare un cuscinetto tra a me e lui. È una frase detta al momento, estemporanea, senza alcuna intenzione di riproporre stereotipi, semmai la volontà è quella di abbatterli. Se c’è una persona contro il razzismo, ma proprio in tutto, sono proprio io. Mi sembra una cosa talmente assurda, frutto dell’ignoranza più totale.
In alcune interviste prima delle elezioni del Sindaco, ha denunciato la condizione degradata di Roma. Vede miglioramenti o è troppo presto per parlarne?
È troppo presto. Speriamo che Gualtieri faccia il possibile. Penso che un giorno andrò dal Sindaco a prendermi un caffè e gli porterò una lista di cose sulle quali bisogna intervenire, ma che purtroppo sino ad ora sono state bloccate dalla burocrazia. Quest’ultima è il vero male di questa città, così come una politica che in passato non ha saputo fornire buoni esempi coi risultati che vediamo soprattutto oggi. Va detto che anche i cittadini hanno le loro responsabilità.