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    Una fotostoria della rivolta del ghetto di Varsavia dalle collezioni dell’Oster Visual Documentation Center di ANU

    Raccontare la rivolta del ghetto di Varsavia attraverso le immagini custodite nelle collezioni dell’Oster Visual Documentation Center di ANU – Museo del Popolo Ebraico di Tel Aviv è come viaggiare nella storia con il prezioso aiuto di una banca dati di eccellenza. Grazie alla collaborazione, all’approfondito lavoro di analisi, schedatura e contestualizzazione di Haim Ghiuzeli, direttore del dipartimento database, e di Simona Benyamini, direttore del Oster Documentation Center, Shalom pubblica immagini di rara suggestione che fanno parte dell’archivio fotografico della rivolta.

     

    ‘Le mie fotografie saranno una testimonianza per i posteri’ così diceva Zvi Kadushin nel 1997 poco prima di morire. Di chi si tratta?

    Zvi Kadushin era un fotografo di Kovno in Lituania, nato nel 1910, riuscì a scattare migliaia di fotografie durante la Shoah. La sua collezione si è poi arricchita di altri scatti di fotografi, di cui non è nota l’identità, che costituiscono una testimonianza utilissima.

     

    La documentazione del ghetto di Varsavia è composta da immagini di provenienza eterogena. Come vengono classificate?

    Generalmente esistono tre categorie di immagini: quelle che provengono da fondi famigliari, molto interessanti per più ragioni. Il nostro museo si chiama ANU, “noi”, e siamo proprio noi i destinatari di queste fotografie, noi a cui spetta il compito di raccontare la storia del popolo ebraico. Sono state donate al nostro museo dai sopravvissuti nelle cui mani sono giunte da famigliari o discendenti di altre persone ritratte; documentano i luoghi angusti del ghetto di Varsavia in cui abitavano gli ebrei, la loro vita quotidiana, l’abbigliamento sempre più logoro, il poco cibo. Spesso è possibile identificare solo una piccola parte dei soggetti. Gli studiosi ci segnalano in alcuni casi altre persone ritratte e riusciamo così a collegare storie di vita differenti. Esistono poi le collezioni di fotografie acquistate e donate successivamente: sono decisamente eterogene. In alcune immagini appaiono eloquenti la sofferenza e le condizioni di grande difficoltà del ghetto; in molte fotografie vediamo persone accasciate per terra, bambini che chiedono l’elemosina e la miseria generale che avvolgeva le strade. In rare inquadrature percepiamo il desiderio delle persone di mantenere un normale stile di vita e i loro tentativi di impegnarsi nel commercio, si scorgono piccoli negozi che erano riusciti, in qualche modo, a rimanere aperti. E infine abbiamo le collezioni dei fotografi come quella di Kadushin.

     

    Come si distinguono l’occhio delle vittime e quello dei carnefici?

    Sulla repressione della rivolta e la distruzione finale del ghetto sono disponibili solo una manciata di immagini esclusivamente di parte tedesca. Le immagini naziste si dividono in due categorie. Quelle ‘ufficiali’ scattate da membri dell’ufficio di propaganda e le fotografie ‘amatoriali’, opera di militari che visitarono il ghetto quasi come se si trattasse di un’attrazione turistica o souvenir di un viaggio in terre straniere. Agli ebrei era espressamente proibito possedere macchine fotografiche o scattare fotografie e il materiale fotografico era molto difficile da reperire. Le immagini di Kadushin sono perciò un’eccezione da segnalare in quanto specchio fedele del coraggio, dell’orgoglio e della resistenza ad ogni angheria. Infine vi sono le fotografie scattate nell’area dell’ex-ghetto dopo la liberazione che testimoniano della sua completa distruzione, ma anche dei primi tentativi di preservarne la memoria.

    [GALLERY]

    Credit foto:

    The Oster Visual Documentation Center, ANU – Museum of the Jewish People

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